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Mi chiamo Mattioli e sono autrice dell’autobiografia Emergere (Edizioni Psiche 2 di Torino, anno 2008 – ndr) pubblicata qualche anno fa. Spero che qualcuno di voi si ricordi di me. Ora ho scritto, ma non pubblicato, un nuovo testo, Pozzi aperti nella campagna, che prende le mosse da un evento autobiografico, un ricovero di pochi giorni in un reparto di Diagnosi e Cura fra il 2010 e il 2011, per proseguire con un’esposizione più decisa, rispetto ad Emergere, delle mie idee.
Innanzitutto prendo le distanze dal motto o slogan che dir si voglia de Le parole ritrovate e che si trova scritto sulle T-shirt del movimento, Un ramo di follia fa più bello l’albero della vita. Questa affermazione contrasta con la mia esperienza di vita dove la malattiaha sensibilmente peggiorato il mio tenore di vita ed i miei rapporti sociali.
L’opera, di cui non intendo qui fare il riassunto, tende a divenire una sorta di saggio in cui nego risolutamente l’utilità dei ricoveri nei reparti di Diagnosi e Cura. Anzi talvolta questi ricoveri sono dannosi. Mi sono poi rifatta alle parole dell’antipsichiatra Szasz: “La giustificazione contemporanea standard per l’ospedalizzazione mentale coercitiva è che l’individuo è pericoloso per se stesso e per gli altri. Questa frase combina due problemi che non sono in rapporto tra di loro. In una società libera un individuo deve avere il diritto di fare del male a se stesso o di uccidersi….. . Se qualcuno vuole uccidersi, deve poterlo fare sempre. Perciò è attualmente impossibile privare gli uomini del loro “diritto” di uccidersi. ….Se una persona si uccide, il suo suicidio tende a essere visto come prova di malattia mentale e come avvenimento che si sarebbe potuto evitare. …Vedere il problema del suicidio soltanto dal punto di vista medico è essere ciechi verso i suoi aspetti morali e psicosociali. Mentre l’essere “pericolosi per se stessi” non dovrebbe mai essere considerata una ragione legittima per privare un individuo della propria libertà, l’essere “pericolosi per altri”, se ciò coinvolge l’infrangere la legge è la maggiore ragione per farlo.” (Thomas S. Szasz, Legge, libertà e psichiatria, Giuffrè Editore, Milano 1963, pag. 320). Nella Genesi Dio ha creato l’uomo e la donna liberi nel Paradiso terrestre, liberi di aderire al Bene osservando il divieto di prendere frutti dall’albero del Bene e del Male o liberi di peccare, disobbedendo a Dio. Ma perché se Dio ha lasciato l’uomo libero fin dalle origini, lo psichiatra detiene un potere superiore a quello di Dio volendo inculcare nel paziente l’amore per la vita? E Sant’Agostino scrive: “Non sarebbe appunto né peccato né atto virtuoso l’azione che non si compie con la volontà. Conseguentemente, se l’uomo non avesse la libera volontà, sarebbero ingiusti pena e premio. Fu necessario dunque che tanto nella pena come nel premio ci fosse la giustizia poiché questo è uno dei beni che provengono da Dio. Fu necessario quindi che Dio desse all’uomo la libera volontà.” (Sant’Agostino, Il libero arbitrio, Città Nuova Editrice, Roma, 1992, Libro II,1,3 pag.211). E Stuart Mill nel suo famoso Saggio sulla libertà scrive “…l’umanità è giustificata,…..,a interferire sulla libertà d’azione di chiunque soltanto al fine di proteggersi: il solo scopo per cui si può legittimamente esercitare un potere su qualunque membro di una comunità civilizzata, contro la sua volontà, è per evitare danno agli altri. Il bene dell’individuo, sia esso fisico o morale, non è una giustificazione sufficiente. (…) Il solo aspetto della propria condotta di cui ciascuno deve render conto alla società è quello riguardante gli altri: per l’aspetto che riguarda soltanto lui, la sua indipendenza è, di diritto, assoluta. Su se stesso, sulla sua mente e sul suo corpo, l’individuo è sovrano.”
Questi sono alcuni, fra altri motivi, che ho trovato a fondamento del diritto alla libertà del singolo, anche se malato psichico, contro la segregazione psichiatrica. Di questi e altri temi ho argomentato in Pozzi aperti nella campagna (dove i pozzi sono appunto i Reparti di Diagnosi e Cura.)
Ma voglio informarVi che con grande ingenuità ho partecipato con questo testo al Concorso Storie di Guarigione 2013 organizzato dall’Associazione “Far Pensare” Emanuele Lomonaco in collaborazione con il Comune di Biella, la Provincia di Biella, l’A.S.L. di Biella (Dipartimento di Salute Mentale), Città Studi Biella, ecc... Le opere partecipanti sono state lette da psichiatri per cui chiaramente la mia non è stata minimamente considerata. Questo mi ha fatto molto pensare. Si è parlato di “lotta al pregiudizio” nei riguardi dei malati psichici e poi cosa si fa? Si indice un concorso che pone come discriminante fra i malati la guarigione o l’andare verso la guarigione. Nel
bando del Concorso si trova proprio scritto:”Sono ammessi a partecipare tutti coloro che abbiano avuto un’esperienza personale e diretta con il disagio mentale, con una evoluzione favorevole delle proprie condizioni, verso la guarigione.” Si mettono i malati psichici contro i malati psichici, addirittura si premiano quelli che stanno guarendo e quindi sono in una posizione favorita rispetto a quei poveracci che potrebbero raccontare solo monotone storie di sofferenza o di ricaduta. Sono contenta di non aver ricavato neanche un ultimo posto in quel Concorso.
Perché comunque non sarebbe stato il mio.
Elisabetta Valeria Mattioli
Modena
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