Vi invio la lettera inviata a Domenico Ravetti (Presidente della IV Commissione regionale su Sanità, assistenza, servizi sociali e politiche per gli anziani) dopo l'incontro del 20 Luglio ad Alessandria.
sono passati pochi giorni dal nostro incontro è avverto la necessità di ringraziarti per la tua disponibilità e di scusarmi della mia ansiosa irruenza dovuta, e sono certo di non sbagliare, alla voglia di comunicare a te, che per le Associazioni che si occupano del disturbo mentale sul territorio Alessandrino, sei il punto di riferimento alla Regione e, tramite tuo, a tutti i tuoi colleghi, quanto questa DGR debba essere rivista.
Deve essere rivista perché manca, in tutta la sua formulazione, il concetto di “guarigione” ed è quasi del tutto dimenticato quello di “riabilitazione” esibendo solo un progetto che è caratterizzato principalmente dal tentativo di stabilizzare la malattia che poi, altro non è che il contrario del curare.
Sicuramente sono un pessimo comunicatore che riesce, purtroppo, solo a trasmettere la sua ansia, facendo perdere di vista la sostanza di quello che vorrebbe esprimere. (Una persona a detto che sono troppo arrabbiato)
Provo allora a buttare su carta le mie impressioni su questa delibera che, nel suo insieme, propone soprattutto un cambiamento strutturale e manca fondamentalmente del cambiamento “culturale” che pure era presente, anche se in forma embrionale, nella 357 del 1997.
C’era in quella DGR molta più speranza di guarigione di quanto non se ne riscontri nell’attuale, forse parchè i tecnici, gli operatori e i relatori della delibera stessa, ricordavano bene l’inciviltà manicomiale.
In quella DGR del 1997 si intravvedeva, nella stessa componente strutturale, il tentativo di un percorso riabilitativo che sfociava proprio in quei G.A. che oggi sono relegati a semplici contenitori di malati incurabili.
Pensa, la delibera 357 a tal proposito recitava:
“Si ritiene sia indispensabile costituire Gruppi Appartamento (G.A.) quali soluzioni abitative
per rispondere a specifiche esigenze di residenzialità assistita di tipo non asilare, rivolte a pazienti
giunti in una fase “avanzata” del loro reinserimento sociale”
Dunque, non un punto di arrivo di ammalati cronici (poi sulla cronicità ci sarebbe
molto da dire) ma di transito verso l’emancipazione dalla malattia e, possibilmente,
dai servizi.
Ci sarebbe da chiederci il perché, dopo quarant’anni, malgrado i nuovi farmaci siano in grado di sopire con più facilità i sintomi del disturbo e quindi facilitare il percorso di cura e di relazione, ci sia stata tale regressione.
Credo che questa involuzione derivi, senza voler generalizzare, da una cultura che ritiene il malato psichiatrico inguaribile e di conseguenza formulare azioni per combattere il disturbo mentale, con il marchio della rassegnazione e dell’inutilità.
E’ evidente che tutta la parte strutturale della delibera (in particolare le SRP2 e le SRP3.), non è altro che la riproposizione della manicomialità, della volontà di separare, della inguaribilità. (il manicomio è evidentemente, per molti, un ricordo lontano)
Si dimentica in questa DGR, l’utilità di un rapporto di collaborazione attiva nella cura con la famiglia e malgrado l’utilizzo di parole come “centralità della persona”, espressione ormai corrosa parchè abusata da molti come un mantra, si dimentica anche che la persona (non la malattia) presa in carico (curata) è un cittadino con tutti i suoi diritti, è un soggetto con una storia che va contestualizzata e valorizzata, è un individuo che potrà essere curato solo se gli sarà data la possibilità di rimettersi in gioco permettendogli di riacquistare dignità e responsabilità.
Tutto questo nella delibera non c’è, da una parte c’è chi fa diagnosi e dispensa medicine, dall’altra chi si occupa di assistenza e di un abitare senza speranza.
La delibera dice chiaramente che nelle SRP2 e nelle SRP3 (G.A.) saranno inseriti pazienti su cui interventi di tipo terapeutico riabilitativo hanno scarso o nullo effetto (inguaribili) e con questo dimenticando, come dice Beppe Dell’Acqua, che “ il disturbo mentale è qualche cosa che ha a che vedere con il divenire e con le continue trasformazioni del vivere ”. In pratica ci si preoccupa solo di stabilizzare la “malattia” senza riconoscere la persona, proponendo una psichiatria istituzionale e non di relazione.
Caro Mimmo, noi possiamo curare (e non stabilizzare) solo se diamo a queste persone soggettività, responsabilità e dignità, in ultima analisi se li riconosciamo cittadini con uguali diritti e doveri di tutti noi, li possiamo curare se non li separiamo dal mondo ma, al contrario, li apriamo al mondo, noi li possiamo curare se spostiamo il focus dalla stabilizzazione della malattia alla guarigione della persona.
Per fare questo occorre avere coraggio.
Ti ho fatto perdere dell’altro tempo e non so sono stato capace di motivare il mio pensiero e me ne scuso.
Ti saluto,
un abbraccio
Mario
Scrivi commento