Intervento
al 16° Convegno Nazionale “Le Parole Ritrovate”
(Trento, 8/10/2015)
di Raffaele Sivolella
(ampi stralci come pubblicati dall'Autore sul proprio sitowww.raffaelesivolella.com)
(…)
In questi pochi minuti che ho a disposizione vorrei invece soffermarmi, da un personale punto di vista, sulle difficoltà che si
continuano a incontrare anche dopo il superamento di un periodo nero, anche dopo la cosiddetta guarigione.
Mi riferisco, in particolare, alle difficoltà che nascono quando inevitabilmente ci si scontra con il mondo esterno, a meno che
non ci si ritiri su un’isola deserta, soluzione che, per quanto complessa, resta comunque da tenere sempre in considerazione…
Il primo problema è quello dello stigma. Agli occhi di non poche persone, infatti, chi ha sofferto di un qualsiasi tipo di disagio
mentale – anche se ha avuto il coraggio di parlarne apertamente, anche se ne è venuto fuori -, rischia di restare per sempre il depresso, lo schizofrenico, il matto. Probabilmente il disagio fa
ancora troppa paura, meglio continuare a etichettarlo e a metterlo in un angolo. In realtà lo stigma è innanzitutto nell’occhio di chi guarda, ed è l’alienazione di chi ha sofferto a crearlo, non
il disagio stesso.
Il secondo problema, strettamente legato al primo, è quello del pregiudizio. In questo caso, più che la paura, è proprio
l’ignoranza a farla da padrona. Non sembra venir presa in considerazione l’idea che il disagio è stato solo una parte della vita della persona, è solo una parte della persona stessa, che ha
conservato e può ritrovare, tutte o in parte, le sue risorse positive.
Ma, nonostante la volontà e l’impegno, come può metterle in pratica se – e qui veniamo al terzo problema – non gliene viene data
l’opportunità? Esiste il pericolo concreto di tornare alla condizione da cui si è tanto faticosamente venuti fuori, potete immaginare con quale sofferenza e quali conseguenze… Non credo di dover
aggiungere altro al riguardo.
Ci tengo comunque a precisare, per non rischiare di apparire parziale o, peggio ancora, ingiusto, che fortunatamente non mancano
persone – (…) – che stanno combattendo per provare a fare in modo che quanto appena detto accada sempre meno, per provare a sconfiggere – anche dentro sé stessi – quei nemici che sono lo stigma,
il pregiudizio e la mancanza di opportunità.
Tuttavia, forse questo non basta. Forse bisognerebbe fare un ulteriore passo in avanti, almeno io ne avverto la
necessità.
Non molto tempo fa, leggendo un libro sulla figura di Martin Luther King, mi ha colpito una sua frase:
La vera compassione non sta tanto nell’elemosina ad un mendicante, quanto in un cambiamento della società che eviti che si creino
mendicanti.
Ho subito sentito che esisteva un’affinità con il disagio mentale; che, sostituendo alcuni termini (ad esempio, elemosina con
farmaco), quella frase aveva comunque un significato, un significato profondo, più ampio, che ho scorto nelle parole: cambiamento della società che eviti.
Così ho iniziato a immaginare un mondo in cui tutti fossero davvero liberi di essere se stessi, non solo in una rassicurante
eppure spesso insoddisfacente solitudine, ma insieme agli altri. Credo di averlo addirittura sognato qualche ora dopo… non sembrava affatto male.
E allora mi auguro che, passo dopo passo, con la collaborazione e l’aiuto di ciascuno di noi e di tutti quelli che verranno, sia
finalmente possibile far diventare quel sogno, anche se in piccola parte, realtà.
(…)
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