Da dove partire se non dai nostri ragazzi (e intendo dagli utenti, dagli ospiti) da come vengono presi in carico dai DSM, da come viene definito in base a un Piano Terapeutico Individuale che sia necessario un inserimento in una comunità (SPR 1 o 2 o 3), da come avviene l'inserimento, da come vengono accolti, aiutati, incoraggiati, guidati, curati e diciamolo, spesso reinseriti nel loro contesto sociale? Quante volte la presa in carico da parte della struttura richiede di iniziare interventi di carattere stomatologico, dietetico, e altre patologie che sembra quasi non sia previsto che possa avere un utente psichiatrico. L'alleanza terapeutica tra ospite e operatori del DSM, operatori della struttura e famigliari rappresenta la chiave di volta di tutto il progetto.
Come infermiere e coordinatore da anni in psichiatria e in comunità non approvo assolutamente una valutazione per minutaggi dell'assistenza infermieristica, in particolare quando si passa, per una struttura di 20 utenti, dalle 12 ore /giorno alle circa 5 ore/giorno della DGR 30. Faccio fatica a pensare che quindi tutto l'aspetto relazionale venga tagliato e si lasci giusto il tempo per preparare e somministrare la terapia. L'infermiere in comunità è ovviamente molto più che questo, ricordiamo che rappresenta il primo filtro tra l'ospite e lo psichiatra. Siamo sicuri che possiamo più che dimezzare questa presenza nelle comunità?
Per la parte relativa ai gruppi appartamento quello che mi interessa rilevare non è la percentuale eventuale di compartecipazione, non ne voglio neanche parlare, ma che si pensi che ci possa essere una parte di socio-assistenziale in un progetto che ha invece esclusivo carattere riabilitativo. Abbiamo diversi nostri ex-ospiti che dopo un percorso comunitario e di gruppo appartamento adesso abitano in case popolari e hanno un impegno lavorativo, ecco un caso in cui si può parlare di socio-assistenziale o di intervento alla spesa da parte dell’ospite, ma è già così.
Purtroppo la politica sembra avere le idee ben chiare su dove andare a tagliare, imponendo regole non condivise e ragionando solo sul risparmio immediato e non sulle ricadute future.
Anche ampliare gli SPDC rappresenta un ritorno al passato, anche se la motivazione è ridurre i ricoveri nelle case di cura per gli elevati costi che rappresentano (cosa ne penseranno le case di cura !!).
Sono d'accordo per una diversificazione delle rette in base alla tipologia di intervento anche all'interno della medesima struttura a patto che non ci sia una gara al ribasso da parte dei DSM invianti. Piano terapeutico del DSM, patto di ingresso con il paziente, rivalutazione regolare, tariffe dinamizzanti (basate sul raggiungimento o meno degli obiettivi condivisi nel tempo previsto), tariffe a progetto effettivamente finalizzati, tariffe variabili in base a bisogni e risultati.
Il mio pensiero finale è che tutto ciò che non saremo in grado di spiegare, valorizzare, determinare come positivo e funzionale non verrà concesso nelle future leggi relative alla psichiatria.
Luciano Rizzetto
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