COMITATO PER LA SALUTE MENTALE IN PIEMONTE
“VOCE AI FAMIGLIARI”
Verbale della riunione del 21/06/2016
presso il Caffè Basaglia
Dopo la lettura dei punti emersi durante lo scorso incontro e sintetizzati nel precedente verbale, la moderatrice dà avvio al dibattito. Obiettivo della riunione è quello di orientare la discussione all'elaborazione di possibili proposte.
Il dibattito si apre con un intervento che esprime l'esigenza di ampliare la rete dei famigliari prendendo contatto con tutte le altre associazioni esistenti sul territorio. Creare una rete di associazioni ci darebbe una maggior forza di pressione presso le istituzioni, per esempio nel caso in cui si dovesse avviare una raccolta-firme.
L'ass. Più diritti di Settimo torinese avanza la proposta di organizzare, per la metà di ottobre, un convegno centrato sul rapporto tra famiglie e Servizi, al quale invitare esponenti di tutte le associazioni territoriali. L'evento è finalizzato a due obiettivi: 1) raccogliere esperienze e individuare nodi critici, cercando di far emergere lo specifico punto di vista dei famigliari sul sistema di cura; 2) promuovere la trasversalità, dando spazio soprattutto agli utenti. Si potrebbe invitare anche un esperto, invitandolo a discutere il particolare punto di vista e le esigenze dei famigliari.
Un partecipante esprime la preoccupazione che durante il convegno le diverse associazioni, anziché individuare obiettivi comuni, finiscano soltanto per presentare sé stesse. Per evitare tale rischio, invita a proporre un tema più concreto del “rapporto tra famiglie e servizi”. Ritiene che obiettivi specifici siano più motivanti e più adatti per elaborare proposte e azioni comuni.
Un altro avanza la proposta di affidare alle Associazioni Insieme e Più diritti il compito di formulare tali contenuti.
Si richiama con forza l'esigenza di formulare progetti concreti e di allargare la partecipazione dei famigliari, con l'obiettivo di “far numero” per avere maggior forza presso le istituzioni.
Una voce richiama l'attenzione su due punti non sufficientemente trattati nella riunione precedente, innanzitutto il tema dell'accoglienza. Quando un famigliare chiede aiuto ha già fatto un grande sforzo, è qualcosa che di solito costa molta fatica, e alla fine può trovarsi davanti ad una porta chiusa: può non essere ascoltato e ricevere un appuntamento ad un mese di distanza. Inoltre, mancano interventi a domicilio in quelle famiglie che tengono con sé l'utente, soprattutto nei momenti di emergenza. Ci vorrebbe un'equipe mobile che intervenga in casi si crisi. Non è possibile che queste famiglie siano lasciate completamente a sé stesse.
Si ribadisce l'importanza di fare numero per ottenere questa ed altre cose.
Un'altra voce propone di redigere un documento con tutti i punti critici individuati e con delle proposte da far firmare a tutte le associazioni. Per realizzare tale progetto, sarebbe importante prima di tutto conoscere le associazioni attive sul territorio e reperirne i contatti.
Si fa notare che molte associazioni sono informali e non hanno un proprio sito internet, per cui la ricerca andrebbe avviata utilizzando soprattutto contatti personali
Un partecipante introduce un nuovo tema: la mancanza di incontri programmati tra utente, famigliari e servizi per monitorare l'andamento dei percorsi di cura. Troppo spesso i famigliari sono tenuti allo scuro di tutto, esclusi. Esiste una dissociazione tra la cura dell'utente e la sua famiglia, eppure sappiamo che la cura di una persona con un disagio mentale funziona soltanto se l'intervento si rivolge all'intera famiglia, perché è lì che il disturbo è stato incubato e che poi è esploso. Qualcuno pensa che il disagio derivi direttamente dalle relazioni famigliari, ma se le cose stanno così è tutta la famiglia che va presa in carico
Su questo tema, l'ass. Insieme propone di raccogliere storie di malattia scritte dai famigliari. Esistono già diverse raccolte di storie di vita degli utenti (ultimamente è stato presentato, qui al Basaglia, il libro “Storie di guarigione”), ma non esiste nessun testo che racconti l'esperienza vissuta dei famigliari.
Si riferisce che, durante l'interessante convegno organizzato dal Porto al Gam, Norton e Shapiro hanno presentato il punto di vista sistemico sulla cura degli utenti psichiatrici. La ragazza di cui Shapiro raccontava la storia era potuta migliorare solo quando tutta la sua famiglia era stata presa in cura, perché il suo malessere era interno al sistema famigliare.
Un partecipante propone di redigere un documento da diffondere nei CSM e presso gli enti gestori, per far sapere loro chi siamo e cosa facciamo.
Un famigliare racconta di aver ricevuto molto sostegno dai servizi di Settimo, sia nell'accoglienza che nell'intervento e nell'ascolto. Oggi è diverso perché non ci sono più risorse.
Una voce risponde che proprio questo motivo stiamo protestando, per contrastare il taglio di risorse. Bisogna redigere una piattaforma di rivendicazioni con tutti i punti che abbiamo individuato e, al tempo stesso, crescere di numero per avere la forza di imporla.
Un'altra voce rileva che la legge 180 è tutt'ora vigente, quindi tutti i diritti di cui parliamo sulla carta sono già riconosciuti. Il problema è che sono state tagliare le risorse per tradurli in realtà. Mancano sia risorse oggettive (il personale) che risorse soggettive (il modo di lavorare, di fare accoglienza). Sul territorio, però, esistono tante realtà che si stanno muovendo per migliorare le cose, come ad esempio “Comunità che guarisce” sul territorio di Novara.
Un altro partecipante risponde individuando due diversi livelli, 1) quello politico, delle leggi e 2) quello della trasformazione dei servizi, su cui forse ci dovremmo concentrare. Per ottenere un cambiamento non è sufficiente allargare soltanto la rete e il numero dei famigliari, ma è di centrale importanza creare una saldatura con il movimento di quegli operatori che vogliono cambiare le cose. Anche ai tempi della 180 si era creata una saldatura tra cittadinanza e operatori.
Un famigliare interviene dicendo che gli operatori hanno interessi diversi da quelli dei famigliari, che loro non vivono il problema sulla propria pelle e per questo sono meno disposti a protestare attraverso azioni concrete. Si è visto che quando devono passare ai fatti si tirano indietro. La vera forza è nei famigliari. Inoltre, c'è il rischio che i famigliari siano strumentalizzati.
Una voce richiama la necessità di coinvolgere soprattutto gli utenti.
Qualcuno propone di partecipare all'incontro del 29/06, organizzato dalla ASL1 in via San Secondo proprio con l'obiettivo di dare ascolto alle famiglie. Si potrebbe redigere un documento con i nostri punti (tratto dalla sintesi dei verbali) da consegnare in quella sede.
Un'altra voce avanza la proposta di chiedere l'apertura di un Centro d'ascolto per le famiglie gestito da famigliari-volontari all'interno del CSM.
Viene ricordato che in parlamento è in discussione la legge istitutiva degli UFE.
Metello risponde alla domanda: “Come funziona il Porto rispetto al lavoro con le famiglie?”. Dall'83 hanno un servizio di accoglienza rivolto ai famigliari. E' un dispositivo che appartiene alla loro cultura di lavoro. Il tema della partecipazione dei famigliari alla cura non è esclusivo della psichiatria. Quando sono stati istituiti i Sert (Servizi tossicodipendenze), nel 1978, già a partire dalla loro nascita sono stati bersagliati dalle accuse della Lenad, un'associazione di famigliari che protestavano per essere esclusi dai percorsi di cura. Al Porto non si fa terapia famigliare sul modello di Shapiro, ma si offre consulenza e sostegno alle famiglie, che sono direttamente coinvolte nei percorsi di cura. Rispetto alle azioni da intraprendere, ritiene che non siano utili rivendicazioni e manifestazioni di protesta, perché non servono azioni generalizzate ma interventi capillari servizio per servizio, distinguendo ciò che funziona e cosa no. I servizi, infatti, sono distribuiti a macchia di leopardo, con eccellenze e malfunzionamenti. Un leopardo a cui per di più manca la testa, visto che l'assessore si è mostrato del tutto irraggiungibile.
Proseguendo il discorso, un partecipante ricorda che il 13 luglio al Caffè Basaglia il Comitato discuterà di “buone pratiche”. Ritiene positivo il fatto che all'interno del Comitato si siano creati dei sottogruppi, come “voce ai famigliari”, ma ritiene che la loro forza è potenziata dal fatto di appartenere ad un movimento più ampio e trasversale al quale partecipano anche gli operatori e, si spera, sempre più utenti. Propone di organizzare un nuovo evento allargato sul modello delle “Giornate Basagliane”, invitando anche i politici, nella speranza che i nuovi cambiamenti possano aprire delle possibilità di dialogo.
Si torna a parlare del convegno di ottobre proposto da Più diritti. In risposta alle perplessità espresse in precedenza sulla trasversalità del movimento e alla rivendicazione della centralità dei famigliari, un famigliare dice che purtroppo il muro più importante da sfondare è proprio la mancanza di partecipazione e di coinvolgimento da parte delle famiglie. Per sfondare questo muro è di centrale importanza catalizzare i loro interessi. In questo senso, propone che al convegno di ottobre siano messi in primo piano due temi 1) coinvolgimento dei famigliari nei percorsi di cura e 2) lavoro: riferisce di una circolare dell'INPS, poco nota, in cui si comunicano agevolazioni rilevanti per gli utenti. Si impegna a diffondere tale documentazione via mail. Un obiettivo importante del Comitato dovrebbe essere quello di prestare costante attenzione, reperire e diffondere il più possibile tali informazioni.
Riguardo ai temi di cui discutere al convegno, viene fatto notare che sarebbe importante prendersi il tempo per ascoltare e accogliere anche le proposte di altre associazioni. Infatti potremmo scoprire che, oltre ai punti di vista in cui c'è convergenza, potrebbero esserci significative differenze, legate anche a differenti condizioni del territorio.
Un partecipante rileva tre fonti di problemi: 1) leggi esistenti, ma che non vengono fatte rispettare (ad esempio l'obbligo di accoglienza delle richiesta d'aiuto); 2) tagli ai fondi regionali; 3) atteggiamenti culturali. Su questo terzo punto possiamo fare molto. E' importante monitorare tutto ciò che avviene essendo presenti il più possibile nei dibattiti, per cercare di ottenere un riorientamento culturale e per riavviare un dibattito che, fiorente negli anni basagliani, sembra essersi spento.
Un altro ricorda che il movimento che ha portato alla 180 era frutto di una saldatura tra cittadini e operatori. Oggi purtroppo la psichiatria è solo in mano ai tecnici, al di fuori di ogni dibattito.
Una terza voce analizza l'importanza dei diversi punti di vista sulla salute mentale e del modo in cui essi organizzano il sistema e il modo di cura. A Settimo vigeva una certa cultura. Ora il servizio è peggiorato non solo per mancanza di risorse, ma soprattutto perché è cambiata la dirigenza, portatrice di un altro punto di vista. La dirigenza è stata selezionata dagli amministratori. Ogni prospettiva individua cosa significa per essa buon funzionamento e cattivo funzionamento. La domanda concreta adesso è: cosa significa buon funzionamento dal punto di vista dei famigliari? Come si valuta? Quali sono le cose che indicano che un servizio funziona bene? Le risposte che darebbero i famigliari sono molto diverse da quelle che da la regione, che per esempio valuta il buon funzionamento sul numero di prestazioni erogate. Il nostro compito dovrebbe essere quello di portare un diverso punto di vista ai CSM. Non è banale, perché dall'interno è difficile accorgersi che ci possono essere altre prospettive. Siamo noi che dobbiamo fargliele vedere, per esempio dicendo che per noi le visite domiciliari e l'accoglienza sono importanti, indice di buon funzionamento del servizio.
Un famigliare chiede come possiamo far sentire la nostra voce.
Si decide che un primo passo sarà quello di partecipare all'incontro in via San Secondo, presentandoci al servizio e consegnando un nostro documento.
SINTESI
La discussione di gruppo è tesa all'elaborazione di proposte e alla ricerca di strategie finalizzate ad ampliare il movimento e a diffonderne le idee presso i servizi.
Emergono come punti critici:
– vantaggi e pericoli della trasversalità del movimento
– priorità tra azioni di protesta e “fare cultura” presso le istituzioni
– necessità di allargare il movimento: a chi e secondo quali strategie?
RICHIESTE E PROPOSTE
Richieste ai servizi/enti gestori:
1) definire i percorsi di cura in progetti scritti da discutere periodicamente assieme ad utenti e famigliari;
2) attivazione di un'equipe mobile che intervenga a domicilio in caso di crisi;
Proposte operative gestite da famigliari-volontari:
1) istituire presso i CSM servizi di ascolto per le famiglie;
2) fondare una radio che dia voce e diffusione alla voce dei famigliari;
3) raccogliere in un libro “Storie di vita” racconti di esperienze di malattia mentale vissute dai famigliari
Proposte in termini di strumenti e strategie:
1) organizzare per ottobre un grande convegno dedicato al punto di vista dei famigliari, al quale invitare esponenti dei servizi e della politica. Il programma, da mettere a punto, deve essere centrato su proposte concrete;
2) scrivere un documento con i nostri punti da diffondere nei CSM e presso gli enti gestori. Una prima bozza verrà consegnata il 29/06 in via San Secondo;
3) redigere un questionario da inviare alle associazioni territoriali, per coinvolgerle nel movimento. La raccolta dei loto punti di vista e bisogni sarà utile per definire i contenuti del convegno di ottobre.
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