Durante il periodo fascista lo psichiatra di origine ebrea
Roberto Assagioli, fondatore della psicosintesi, fu arrestato dal regime con l'accusa di pacifismo e internazionalismo e passò un mese in carcere. Durante quel periodo di detenzione ebbe una
intuizione fondamentale. Egli contattò profondamente quella libertà essenziale presente in ognuno di noi che consiste nella possibilità di scegliere che atteggiamento assumere di fronte a
qualsiasi circostanza. Si rese conto che avrebbe potuto disperarsi, fare la vittima, autocommiserarsi, indignarsi, riempirsi di rabbia, oppure avrebbe potuto prendere in modo attivo la
circostanza della sua detenzione e trasformarla in un periodo di riposo, di riflessione, in un'opportunità di esercizio e di auto-osservazione, e prenderla come un ritiro spirituale. Questa
scelta, si rese conto, avrebbe modificato radicalmente il significato e il valore dell'esperienza stessa.
Ben più grave fu la sorte che toccò a Victor Frankl,
contemporaneo di Assagioli, che fu internato in campo di concentramento dove passo tre anni sfiorando più volte la morte. Sopravvissuto a quell'esperienza fondò la logoterapia, un approccio
psicoterapeutico esistenziale, anche grazie alle intuizioni avute durante l'esperienza della deportazione. Ebbene, persino in campo di concentramento, Frankl riporta momenti di contemplazione
della bellezza della natura, momenti di umorismo, di gioia, di amore, atti di solidarietà tra gli internati, come a testimoniare questa libertà umana di affrontare spiritualmente anche una fra le
più terribili situazioni che la vita può imporre. Anche nel lager alcuni uomini riescono a mantenere la capacità di attribuire un significato alla propria vita: Frankl stesso immagina di tenere
una volta uscito conferenze sulla psicologia del lager e di poter utilizzare, come poi effettivamente avverrà, la sua esperienza come fonte di apprendimenti fondamentali sulla vita e sulla psiche
umana. Egli racconta l'incontro con una prigioniera che ringraziava l'esperienza del lager per averla risvegliata a valori spirituali che prima nella sua vita ordinaria ignorava
completamente.
In un discorso intitolato “libero ovunque tu sia” tenuto in
un carcere americano, Thich Nhat Hanh, monaco zen vietnamita, insegna ai detenuti pratiche meditative come respirare, mangiare e camminare in consapevolezza. Egli afferma che si può camminare da
uomini liberi ovunque, anche in prigione. Essere liberi significa stare in contatto con il qui ed ora, non essere schiavi del passato o del futuro, delle preoccupazioni o dei rimpianti, non
essere schiavi della rabbia, della paura o della disperazione ma essere padroni di se stessi e saper godere e gioire del fatto di essere vivi, del proprio respiro e di ogni passo che si fa.
Libertà in prigione: anche in prigione è possibile essere liberi perché la libertà è una condizione interiore che non dipende dalle circostanze. Certo, verrebbe da dire, ci sono circostanze che
possono facilitare il conseguimento della libertà e altre che lo rendono molto più difficile.
Un fatto che mi ha molto colpito durante la mia adolescenza
è stato il suicidio di Kurt Cobain, leader del gruppo musicale dei Nirvana. Ricordo bene quando sentii per la prima volta la loro musica alla radio: era un suono nuovo, denso, che diceva tanto.
In quel periodo avevo appena iniziato a suonare: facevamo i nostri primi concerti e già si parlava e si sognava di poter un giorno vivere di musica. Ai miei occhi Kurt Cobain doveva essere una
persona pienamente realizzata: faceva la sua musica, aveva successo, girava il mondo, poteva fare quello che voleva, era amato e apprezzato. Eppure a ventisette anni si uccise sparandosi un colpo
di fucile.
Da una parte abbiamo un prigioniero in campo di
concentramento che arriva a essere grato della sua condizione perché gli ha fatto scoprire una nuova dimensione spirituale, dall'altra un uomo ricco, famoso, che ha successo ed ha realizzato
quello che voleva che si toglie la vita. Come possiamo pensare ancora che la felicità e la libertà derivino da circostanze esterne? Non dovremmo concludere che siano completamente indipendenti
dalle circostanze? Possiamo essere liberi anche in prigione, possiamo essere schiavi anche in mezzo alle più grandi agiatezze e ricchezze.
C'è una parte profonda dentro di noi a cui possiamo sempre
ritornare e in cui troveremo sempre pace, libertà e sicurezza, un luogo dove siamo liberi e in cui siamo da sempre al sicuro, il nostro Sé, la nostra casa interiore. Quando c'è paura o
agitazione, è una parte superficiale che ha paura, che soffre, che è turbata, ma in profondità c'è questo luogo di pace che resta stabile come le radici di un albero durante una tempesta che
agita in modo violento i rami e le foglie, come un punto calmo nella profondità del mare anche quando questo è mosso dalle onde. In questo luogo interiore nel cuore dell'essere siamo veramente
liberi.
http://ivanordiner.blogspot.it/…/…/la-liberta-interiore.html
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roberta mameli (mercoledì, 31 gennaio 2018 20:43)
buona sera
bello come scrive. mi piace molto il pezzo su - conosci te stesso-. non ho ancora fatto in tempo a leggere gli altri da -archivio-.
grazie.
Roberta
Angelica Palumbo (giovedì, 01 febbraio 2018 21:01)
I sociologi lo chiamano empowerment, gli psicologi analizzando ciò che è alla base del fenomeno,parlano di resilienza. Io ne sono del tutto priva.