Lo hanno accostato a “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” (o meglio “High dose lormetazepam dependence: strange case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde”) citando il famoso racconto dello scrittore scozzese Robert Louis Stevenson. Metafora in questo caso dell’ambivalenza del lormetazepam, la cui forma orale in gocce (in soluzione alcolica) pare correlata alla maggior parte dei casi di abuso da alte dosi di benzodiazepine (Bzd) al contrario delle compresse, secondo uno studio pubblicato lo scorso anno su Internal and emergency medicine (giornale ufficiale della Società italiana di medicina interna, Simi) da un gruppo di ricerca dell’Università di Verona.
D’altra parte la figura retorica può essere estesa più in generale a tutta la categoria delle benzodiazepine e agli psicofarmaci in particolare che, come ricorda Giovanni Biggio, professore ordinario di neuropsicofarmacologia all’Università degli Studi di Cagliari “possono potenzialmente tutti essere usati in maniera impropria”. Trasformando un farmaco sicuro e utile come le benzodiazepine, nel suo corrispettivo “malvagio” e dannoso.
Nel lavoro retrospettivo condotto dall’Unità di medicina delle dipendenze dell’Azienda ospedaliera universitaria di Verona, i ricercatori hanno indagato l’impatto dell’abuso di benzodiazepine ad alte dosi, in oltre 1100 pazienti ammessi al centro, da gennaio 2003 a giugno 2018. Il primo dato che salta all’occhio è la percentuale di consumo di lormetazepam, principio attivo più comune tra i dipendenti da alte dosi di Bzd, abusato da oltre il 57% dei pazienti (630), nel 97,3% dei casi nella forma farmaceutica in gocce (contro i 13 casi da abuso di compresse). Seguito da lorazepam con l’11% (125), alprazolam 10% (111), zolpidem 9% (102), clonazepam 3% (37), bromazepam 3% (31), diazepam 2% (23), triazolam 2% (21) e un’altra benzodiazepina nel 3% dei casi (32).
La forma in compresse era invece quella più comune per le altre Bzd. Altro dato interessante è il progressivo incremento dei consumatori di alte dosi di lormetazepam (sempre in base ai dati dell’unità di Verona), passati da pochi numeri (3 casi) nel 2003 a oltre 70 nel 2018. Crescita molto maggiore rispetto alle altre benzodiazepine.
Chi ne abusa? Spiega Stefano Tamburin, professore di neurologia all’Università degli Studi di Verona, autore dello studio: “Si tratta di persone che assumono anche una o tre boccette o scatole di benzodiazepine al giorno: dosi altissime, che può permettersi solo chi ha un reddito annuo molto elevato, considerando che sono farmaci in fascia C, a totale carico del cittadino”.
Tant’è che la popolazione afferente al centro, un policlinico ospedaliero pubblico che eroga prestazioni convenzionate con il Servizio sanitario nazionale, ha un alto livello di scolarità ed è costituita in genere da professionisti con un’età media di 45 anni: “Al momento ho quattro persone ricoverate – spiega Fabio Lugoboni, altro autore del lavoro e responsabile dell’Unità di medicina delle dipendenze di Verona – il massimo che la mia struttura può contenere: tra cui un anestesista, uno psichiatra e un medico di medicina generale”.
Non è una casistica rappresentativa come precisa, ma generalmente i medici rappresentano il 10-13% della popolazione totale. Il resto dei pazienti in carico è rappresentato da manager o persone che svolgono attività stressanti e di responsabilità, che assumono benzodiazepine per aumentare la prestazione, eliminare l’ansia, la stanchezza o l’insonnia. Lugoboni precisa che il suo centro accetta solo persone che superano di cinque volte la dose massima indicata sul foglietto illustrativo, non meno.
Continua Tamburin: “I pazienti sono professionisti con responsabilità, ma con un profilo cognitivo devastante e una qualità della vita bassa. Sono così dipendenti dal farmaco che senza non riescono a muoversi e chiedono aiuto (soprattutto chi è mono-dipendente da Bdz ad alte dosi) quando si accorgono di non riuscire più a gestire la giornata o operazioni pratiche di lavoro, come un intervento chirurgico, o perché si sentono schiavi del farmaco”.
Per persone come quella in carico al centro veronese, lungi dall’essere individuate come addicted, i farmaci sono anche facili da reperire, come confermano i due ricercatori, complice la professione svolta (medici) e/o la possibilità di viaggiare spesso per lavoro, cambiando continuamente farmacia. Tamburin precisa anche che il consumo abituale di alte dosi di benzodiazepine non comporta quasi mai rischi fatali di arresto respiratorio con overdose e decesso, come invece accade con altri sedativi tipo i barbiturici, ma può generare problemi cognitivi.
Secondo uno studio attualmente in corso sempre presso l’Università di Verona, anche gli studenti di medicina sembrano avere la tendenza ad assumere benzodiazepine, oltre a sostanze per migliorare le proprie prestazioni cognitive: “C’è una richiesta di prestazione da parte della società che è molto elevata – aggiunge – così si inizia presto a prendere sostanze per aumentare la performance. È la strada più veloce, invece di migliorare le abitudini di vita”.
Come riportano gli autori del lavoro, il modello di regressione logistica multivariata ha mostrato che la soluzione orale, la durata dell’abuso di Bzd e la prescrizione per i disturbi del sonno hanno aumentato il rischio di abuso di lormetazepam rispetto ad altre Bzd. “La forma farmaceutica sembra favorire l’assunzione – commentano Tamburin e Lugoboni – e l’ipotesi è che le gocce agiscano più velocemente, poiché la soluzione alcolica facilita l’assorbimento. Il che generalmente favorisce tutte le dipendenze. L’alcol, inoltre, agisce sullo stesso recettore delle benzodiazepine, quello del Gaba-A, ma in un sito differente, agendo in sinergia”.
La quantità di alcol assunta insieme a lormetazepam, con una boccetta, è pari a 20,5 g di alcol, come spiega Tamburin: fattore non trascurabile se si considera che la popolazione in esame può assumere anche tre boccette al giorno e che le linee guida del ministero della Salute raccomandano di ingerire massimo 24 g di alcol al giorno per gli uomini e 12 g per le donne. La riflessione cui giungono i ricercatori è che forse si avrebbe una riduzione di dipendenze da alte dosi di benzodiazepine se fosse disponibile solo la forma in compresse di lormetazepam: “Magari poi i pazienti assumerebbero un altro farmaco – precisa Tamburin – ma almeno si limiterebbe un prodotto che rischia di creare dipendenza”.
I dati sui consumi di Bzd ad alte dosi sono scarsi. La prevalenza è stata stimata solo in Svizzera, intorno allo 0,16% della popolazione adulta, ma non ci sono informazioni provenienti da altri paesi. Inoltre mancano dati precisi sul lormetazepam, il cui abuso pare essere un problema peculiare con una grande prevalenza in Italia. Ma non solo. Un numero molto elevato e progressivamente crescente di Ddd (dose giornaliera definita, dose di mantenimento giornaliera media di un farmaco utilizzato per la sua indicazione principale nell’adulto) di lormetazepam è stato segnalato anche in Spagna, unico Paese insieme al nostro in cui la molecola è commercializzata come soluzione orale. Altre benzodiazepine – come lorazepam, alprazolam, diazepam – sono invece più popolari in altre aree.
Una conferma sull’elevato uso di lormetazepam in Italia arriva anche dal rapporto Osmed sull’uso dei farmaci in Italia 2018, stilato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), da cui emerge che le benzodiazepine sono notoriamente i farmaci di classe C maggiormente acquistati dai cittadini rappresentando il 18,5% della spesa e il 26% delle Ddd della classe C con ricetta. Il consumo negli ultimi quattro anni è rimasto sostanzialmente stabile attestandosi nel 2018 a 49,2 Ddd. Le benzodiazepine a effetto ansiolitico e quelle a effetto ipnotico rappresentano oltre il 90% del consumo della categoria e si collocano al primo e al quinto posto in termini di spesa tra i medicinali di classe C (le prime in aumento del 3,2% rispetto al 2017 e le seconde dell’1,9%).
Non solo, il lormetazepam (13,2 Ddd), il lorazepam (10,3 Ddd) e l’alprazolam (9,2 Ddd) sono i tre principi attivi più prescritti, mentre lo zolpidem si conferma quello con l’incremento più elevato rispetto al 2017 (+10,2%). Inoltre tra i primi venti farmaci a maggior spesa di classe C con ricetta compaiono numerosi principi attivi appartenenti a questa classe: lorazepam, alprazolam, zolpidem, lormetazepam, bromazepam, delorazepam, triazolam. Le regioni del Nord e la Sardegna mostrano inoltre un consumo superiore alla media nazionale, mentre Lazio, Toscana e Valle d’Aosta sono le Regioni con l’incremento più elevato rispetto all’anno precedente.
L’uso non medico di benzodiazepine non è un problema solo italiano. Il World drug report della Unodc, 2018 e 2019, lo considera una delle minacce emergenti di salute pubblica, inserendo le Bzd tra le prime tre sostanze di abuso comunemente usate in 40 Paesi. “L’uso improprio di benzodiazepine comporta gravi rischi – si legge nel report – non ultimo un aumento del pericolo di sovradosaggio se usato in combinazione con l’eroina”. Le benzodiazepine infatti, benché da sole non siano fatali, sono frequentemente riportate in casi di overdose anche mortali, che coinvolgono oppioidi come il metadone.
Sempre secondo il report, dalle Americhe all’Europa, la prevalenza annuale media dell’uso non medico dei sedativi e tranquillanti era superiore al 2% della popolazione generale, con picchi anche più alti tra i ragazzi di età scolare e tra le donne. In particolare il fenomeno è abbastanza comune nell’Europa occidentale e centrale, dove varia dal 19,5% della popolazione adulta in Repubblica Ceca a meno dell’1% in Portogallo. In otto dei 14 Paesi che hanno riportato stime recenti, l’uso non medico di tranquillanti era maggiore dell’uso di cannabis.
La storia delle benzodiazepine inizia a Cracovia, a metà degli anni ’30, quando Leo Sternbach lavorava su un gruppo chimico chiamato heptoxdiazines. In seguito si trasferì negli Stati Uniti dove continuò il suo lavoro presso il Dipartimento di ricerca di Hoffmann-La Roche nel New Jersey, finché nel 1957 trovò un composto con potere ipnotico, sedativo e anti-stricnina simile a quelli del meprobamato. Tale composto, non senza sorpresa, si scoprì subire un ri-arrangiamento molecolare per diventare una benzodiazepina. Sì arrivò così al clordiazepossido, introdotto in clinica nel 1960 e in seguito al diazepam nel 1963. Molti altri composti in seguito furono immessi sul mercato, come ansiolitici diurni (“tranquillanti”) o ipnotici notturni o con entrambi gli effetti. In poco tempo sostituirono i barbiturici come ipnotici sedativi, perché erano più sicuri e avevano meno probabilità di causare una depressione fatale del Sistema nervoso centrale.
Le Bzd sono classificate in tre gruppi in base alla loro farmacocinetica: a) breve durata d’azione con emivita inferiore a 6 ore (ad esempio oxazepam); b) azione intermedia, con emivita da 6 a 24 ore (ad esempio alprazolam); c) lunga durata d’azione, con emivita di oltre 24 ore (ad esempio diazepam). Tutte aumentano l’effetto del neurotrasmettitore acido gamma-aminobutirrico (Gaba), legandosi a un sito allosterico del recettore del Gaba-A (non si posizionano sul sito del neurotrasmettitore Gaba, ma su uno adiacente migliorando l’apertura del recettore).
In questo modo ne aumentano la proprietà sedative, ipnotiche, ansiolitiche, anestetiche, anticonvulsivanti e miorilassanti. Motivo per cui questa classe di farmaci è oggi ampiamente utilizzata per il trattamento di breve durata di ansia, insonnia, convulsioni, spasmi muscolari, astinenza da alcol e alcune molecole come pre-anestetici e farmaci intraoperatori. “Sono farmaci straordinari e indispensabili se usati bene – commenta Biggio – non c’è farmaco ugualmente privo di tossicità che in tempi brevi possa sedare un soggetto in stato di agitazione. Ma devono essere usati in acuto per massimo 3-4 settimane, non in cronico”.
Negli anni a seguire l’uso di questi farmaci più maneggevoli aumentò sempre di più, toccando già un picco negli anni ’70 e “creando la percezione – scriveva nella review “History of Benzodiazepine Dependence” del 1991 Malcolm Lader, al tempo professore di psicofarmacologia clinica presso l’Institute of Psychiatry, dell’University of London – che l’uso diffuso di ansiolitici e ipnotici fosse un nuovo fenomeno, che identifica la seconda metà del XX secolo come l’Era dell’ansia”.
Un’intuizione niente affatto sbagliata che il tempo ha confermato ed esacerbato, se si considera, un esempio su tutti, che appena qualche mese fa l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), ha riconosciuto il burnout (lo stress da lavoro) come disturbo medico. Lader al tempo distinse tre condizioni principali: l’abuso con auto-somministrazione regolare o intermittente di grandi dosi di benzodiazepine, fuori dal contesto medico; l’abuso con l’assunzione orale regolare di elevate quantità di benzodiazepine, iniziato nel contesto medico e a volte ma non sempre ottenute su prescrizione medica, il cui dosaggio iniziale è poi aumentato oltre i normali livelli terapeutici; infine la dipendenza fisica a dosi terapeutiche normali come manifestato da una sindrome da astinenza.
Così a partire dal 1984 ben 36 benzodiazepine sono state poste sotto il controllo internazionale ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sulle sostanze psicotrope del 1971, progettata per garantire l’accesso ai medicinali utili, ma al contempo contrastarne l’abuso e dipendenza. Le benzodiazepine, il diazepam, il lorazepam e il mi dazolam sono attualmente elencati nel ventesimo elenco dei farmaci essenziali dell’Oms e sono quindi considerati medicinali efficaci e sicuri che dovrebbero essere accessibili nei sistemi sanitari.
Nonostante le benzodiazepine siano farmaci sicuri e ampiamente utilizzati in clinica, il loro uso non medico e ricreativo può portare a problemi di abuso, dipendenza e overdose se usate in associazione con altre molecole sedative. Biggio ricorda che anche l’alcol ne potenzia l’effetto e per tale motivo non va mai assunto in concomitanza “ne decuplica l’effetto e può essere fatale – sottolinea – a uccidere però non sono le benzodiazepine, ma il mix di sostanze ad azione sul Sistema nervoso centrale. È come prendere una dose almeno dieci volte superiore”.
In effetti negli ultimi anni sono aumentate le evidenze che l’uso di “poli-droghe” e in particolare quelle ad effetto sedativo/ipnotico come benzodiazepine, potrebbe essere collegato ad alcune delle overdose mortali da oppioidi negli Stati Uniti. Un problema non da poco considerando l’epidemia in corso in Nord America e in parte d’Europa e che le benzodiazepine sono tra i farmaci più prescritti in tutto il mondo. Secondo l’European drug emergencies network (Euro-Den), le sostanze più comuni associate a casi di intossicazione acuta correlati a farmaci da prescrizione in Europa includevano benzodiazepine e oppioidi.
Ad aggravare ulteriormente la situazione, sempre negli ultimi anni, è stata la disponibilità di benzodiazepine contraffatte e la crescente comparsa di nuove sostanze psicoattive, diverse da quelle autorizzate e in commercio, definite “benzodiazepine di design” o “legali”. Alcune sono state solo brevettate, altre sono etichettate per essere utilizzate esclusivamente come “sostanze chimiche di ricerca”, anche se implicitamente sono destinate al consumo umano. La maggior parte non ha mai seguito l’iter di approvazione previsto per i medicinali prodotti dall’industria, con test preclinici e clinici e generando dati di sicurezza, efficacia e tollerabilità, ma ha un profilo farmacologico/tossicologico sconosciuto. Motivo per cui tali molecole risultano ancora più dannose dei prodotti in commercio.
Alcune di queste benzodiazepine non autorizzate sono vendute come versioni contraffatte di ansiolitici comunemente prescritti (come alprazolam e diazepam), utilizzando le reti di distribuzione esistenti nel mercato delle sostanze illecite; altre sono vendute online, talvolta con le loro denominazioni proprie, e commercializzate come versioni “legali” di medicinali autorizzati.
In particolare l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (Emcdda) sta monitorando 28 nuove benzodiazepine, di cui 23 individuate per la prima volta in Europa negli ultimi cinque anni, secondo quanto riporta la Relazione europea sulla droga 2019. Nel 2017 quasi 3500 sequestri di nuove benzodiazepine sono stati segnalati al sistema di allerta precoce dell’Ue. La maggior parte di tali operazioni ha riguardato compresse, per un totale di oltre 2,4 milioni di unità, in notevole aumento rispetto al mezzo milione circa segnalato nel 2016. Tale aumento può essere attribuito a sequestri rilevanti di etizolam in un singolo Paese. Inoltre, nel 2017 sono stati sequestrati circa 27 chilogrammi di polvere, 1,4 litri di liquidi e 2400 blotter contenenti nuove benzodiazepine.
Le prime benzodiazepine illecite identificate in Europa dall’Emcdda furono il fenazepam e il nimetazepam nel 2007. Il fenazepam è una benzodiazepina sviluppata nell’ex Unione Sovietica nel 1970, concessa in licenza solo nella Federazione Russa e alcune parti del Commonwealth of Independent States (Cis) come un farmaco per il trattamento dell’ansia e sintomi di astinenza. Negli anni successivi, fu rilevato un numero crescente di segnalazioni di uso non medico, associato ad un numero crescente di vittime, soprattutto in Europa.
Il fenazepam può causare compromissione psicomotoria, arresto respiratorio, psicosi e delirio. Tanto che recentemente è stato inserito nel programma VI della Convenzione delle Nazioni Unite sul controllo della droga del 1971. Il nimetazepam invece (venduto frequentemente con il marchio “Erimin”) è una benzodiazepina autorizzata prodotta da un’azienda farmaceutica, la cui produzione era stata interrotta nel 2015.
Nonostante questo, preparati senza licenza di nimetazepam sono disponibili e negli ultimi anni si trova anche online e viene utilizzato nei club statunitensi come droga. Anche nel regno Unito continua essere venduto illegalmente in alcuni regioni. Il derivato etizolam appartiene a una classe di composti noti come tienodiazepine. Concesso in licenza in Giappone, Italia e India, è stato rilevato dall’Emcdda per la prima volta nel 2011 nel Regno Unito su Internet. Il suo uso ricreativo è stato molto diffuso in Scozia ed è stato associato a decessi in vari parti del Regno Unito. Tuttavia, ci sono informazioni limitate sul potenziale di dipendenza o il numero di vittime associate ad esso. Per questo motivo è attualmente sorvegliato dall’Oms. In seguito arrivò sul mercato pyrazolam, la prima benzodiazepina mai approvata in precedenza come farmaco da prescrizione in nessun Paese.
Successivamente, sono stati segnalati all’Emcdda diversi altri composti non autorizzati per l’uso clinico, tra cui: flubromazepam e diclazepam nel 2013 insieme a meclonazepam, nifoxipam e deschloroetizolam (una tienodiazepina) nel 2014. Si ritiene che anche clonazolam e flubromazolam siano apparsi per la prima volta nel 2014 e siano stati successivamente segnalati all’Emcdda. Varie altre benzodiazepine come adinazolam, nitrazolam e metizolam (un’altra tienodiazepina) sono state segnalate nel 2015.
Quattro di questi farmaci – etizolam, diclazepam, flubromazolam e fenazepam – rappresentano oltre l’80% di tutte le compresse contenenti nuove benzodiazepine che sono state sequestrate in Europa dal 2005. Attualmente centinaia di benzodiazepine sono state brevettate e descritte nella letteratura scientifica e non si prevede che siano le ultime rilevate nella cosiddetta esplosione di nuove sostanze psicoattive.
L’Unità di medicina delle dipendenze dell’Azienda ospedaliera universitaria di Verona è uno dei pochi centri pubblici al mondo che esegue un trattamento particolare per la disassuefazione da alte dosi di benzodiazepine. Come spiega Fabio Lugoboni, direttore dell’Unità, in pazienti che assumono fino a tre boccette al giorno, il classico sistema di riduzione della dose non funziona bene e i risultati tardano ad arrivare. Nel centro si ricorre invece alla somministrazione lenta di flumazenil, un antagonista competitivo delle molecole che si legano al sito delle benzodiazepine sul recettore Gaba di tipo A. Il metodo fu sviluppato quasi trenta anni fa da Malcolm Lader professore del King’s College London, che lo testò in modelli animali.
Anni dopo lo riprese in mano Gilberto Gerra – oggi responsabile prevenzione droga e salute dell’Ufficio antidroga e crimine dell’Onu (Unodc) a Vienna – che tra metà degli anni ’90 e i primi 2000 fu direttore del Ser.T. e del Centro di ricerca delle Dipendenze di Parma, lo applicò a una popolazione che abusava di Bzd ad alte dosi. Lugoboni racconta che Gerra pubblicò i dati su una rivista ad alto impact factor, sostenendo che fosse il sistema più rapido e migliore rispetto allo scalo progressivo. “Così andai a Parma per impararlo e importarlo a Verona – continua – e nonostante lo scetticismo iniziale lo trovai spettacolare. Oggi riusciamo a disintossicare anche persone con recidive”.
Negli ultimi due anni solo il 28% ha avuto ricadute e su 1400 pazienti trattati sinora dal 2003, solo sette hanno avuto un drop out. Lugoboni racconta che da circa 6-7 anni non somministra più il farmaco in vena ma sottocute, con un’infusione di 14 fiale di flumazenil tramite elastomero da sostituire una volta alla settimana. L’ipotesi di funzionamento, confermata anche da Giovanni Biggio, è che il flumazenil come antagonista permetta il ri-accoppiamento del recettore del Gaba (se bombardato da alte dosi di benzodiazepine tende a disaccoppiarsi e andare incontro a tolleranza). E dall’altra funzioni come agonista sulle subunità alfa-4 e alfa-6 dello stesso recettore – espresse solo in caso di tolleranza – non causando così crisi di astinenza. “Motivo per cui il paziente non soffre con questo metodo” afferma Biggio.
Nonostante i dati promettenti il metodo è considerato tuttora off-label e viene praticato in pochi centri in via sperimentale. Secondo Lugoboni per disinteresse verso una classe di farmaci la cui pericolosità viene spesso sottovalutata dai clinici. “Tempo fa – racconta – ci fu anche un botta e risposta sul New England Journal of Medicine sul considerare o meno questo metodo sperimentale”. Intanto però sono diverse le cliniche private che si sono interessate alla procedura perché hanno fiutato l’affare. Alcune di queste l’hanno già messa in pratica facendola pagare dai 1200 ai cinque mila euro.
Cristina Tognaccini è una giornalista scientifica. Subito dopo la laurea in Chimica e tecnologie farmaceutiche conseguita presso l’Università degli Studi di Sassari nel 2005, ha vinto una borsa di studio presso l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, dove ha lavorato per quattro anni presso il dipartimento di Neuroscienze.
Dopo una breve parentesi in farmacia, nel 2011 ha deciso di dedicarsi alla divulgazione scientifica conseguendo nel 2013 il Master in Comunicazione della Scienza presso la Scuola Internazionale di Studi Superiori Avanzati (SISSA) di Trieste.
Dal 2012, dopo uno stage presso il giornale web Linkiesta.it, collabora e ha collaborato con D la Repubblica, Linkiesta.it, AboutPharma, Airone, Osservatorio Malattie Rare e altri giornali generalisti e di settore. Iscritta all’albo dei pubblicisti dal 2019, ha vinto il Premio giornalistico Riccardo Tomassetti nel 2017, con l’articolo “Se a produrre anticorpi ci pensano le piante” (AboutPharma) e nell’edizione 2018-19 del Premio OMaR ha ricevuto una menzione speciale per l’articolo “Speranze da terapia genica e oligonucleotidi antisenso” (AboutPharma).
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