Mail ricevuta
da (collana180@studiosandrinelli.com) - 27/3/2020 22:44
#restateacasa e #andràtuttobene: sono questi gli hashtag che vanno per la maggiore in questo periodo.
Il virus sembra riportare tutti alla stessa condizione: siamo tutti reclusi, siamo tutti internati, siamo tutti privati di qualcosa, della libertà.. . C’è un ordine superiore cui dobbiamo soggiacere. La nostra singolarità svanisce.
Siamo tutti obbligati all’internamento, ridotti a una sola dimensione. Come dietro le mura i matti prima di Marco Cavallo. Noi internati di questo tempo, per una ragione che bene o male condividiamo, i matti dietro le mura di ieri e di oggi, senza tempo, a chiedere disperatamente una ragione.
Il virus ora sembra renderci tutti uguali, ma basta fermarsi un attimo per cogliere la profondità, l’oscenità delle diseguaglianze, delle lontananze, delle separazioni. Il virus ha illuminato e ha fatto esplodere le distanze incolmabili. Non posso non pensare alle persone che vivono l’esperienza del disturbo mentale chiuse in casa costrette a subire un isolamento ancora una volta particolare e più doloroso.
La Pandemia, come è giusto che sia, prende il sopravvento, i servizi di salute mentale si riducono, e si allontanano dalla vista proprio le persone che Marco Cavallo ha liberato.
Penso a questa disuguaglianza e alle case delle periferie: da Trieste e Napoli, da Roma a Milano, dove le famiglie o le persone singole vivono in 40/50/60 metri quadri.
Ecco allora che subito mi appare chiara l’immagine che mi porto dietro da tanti anni della vecchia mamma, magari grassa e ingombrante, seduta nella cucina di pochi metri quadri, con il figlio, ora cinquantenne. Reclusi, senza la possibilità di ricevere una visita, una telefonata o di andare in un centro diurno chiuso e chi sa quando riaprirà. In casa c’è solo una vecchia televisione sempre accesa. Il figlio fuma tanto e la madre lo rimprovera e immagino la pesantezza della vicinanza.
Uso questa immagine per cercare di dire a Marco Cavallo cosa vorrei che facesse: mi piacerebbe che la sua azzurrità, così come ha toccato tante porte, chiusissime, e mura invalicabili toccasse le tante porte delle periferie della nostra anima e delle nostre città e portasse la brezza di primavera. C’è il cattivissimo virus corona e la primavera non si è accorta di nulla ed è tornata. I prati sono diventati bianchi di margherite ed è tempo di andare tutti “per i prati a cavallare”.
“Voglio divertirmi a correre - cantava Marco Cavallo - volare e sui prati andare a cavallare...”
Peppe dell’Acqua
Direttore della "Collana180 - Archivio Critico della Salute Mentale"
Scrivi commento