DA collana180@studiosandrinelli.com
07/11/2020 02:49
"La storia comincia quando è Gabriella a decidere e a scegliere chi avere attorno a sé. [...] Era una donna burbera, perfino un po' violenta nei modi, ma alla fine si è scoperto che aveva un suo mondo caloroso, accogliente: quando decideva che tu eri suo, e diventavi "suo", avrebbe fatto qualsiasi cosa per accontentarti".
Gabriella ha 74 anni quando entra in contatto con gli operatori della Microarea di Cittavecchia (il quartiere più antico di Trieste), per una segnalazione attivata dopo un ricovero grave in Ospedale. Una vita difficile e disordinata, quella di Gabriella, fatta di abbandoni e ristrettezze economiche, di miseria, disillusione, diffidenza: è da qui che comincia l'intervento degli operatori.
"Se ho bisogno di aiuto vi chiamo io" così Gabriella tenta di disfarsi di queste persone con cui continua a scontrarsi e discutere, non vuole intrusioni! Fino a quando arriva Ricki, un ragazzo di vent'anni, un po' strambo, ma attento, dolce e sensibile. Tra i due scatta qualcosa, Gabriella cambia e finalmente afferra la mano che le viene tesa dagli operatori, comincia a curarsi, trova un suo equilibro.
La storia di Gabriella è la storia che apre "LA CITTÀ CHE CURA. Microaree e periferie della salute" a cura di Giovanna Gallio e Maria Grazia Cogliati Dezza, pubblicato da Edizioni Alpha Beta Verlag per Collana 180 nel 2018. Il libro è una selezione di materiali raccolti nell’arco di circa quattro anni, dal 2009 al 2013; colloqui, interviste, seminari, storie di malattia che raccontano i servizi cresciuti nella città e nelle periferie di Trieste: i Distretti e le Microaree.
QUAL È LA CITTÀ CHE CURA?
Tutto ha preso il via dalla constatazione che la medicalizzazione della vita è una tendenza inarrestabile: per ogni problema c’è una diagnosi, un farmaco, un medico. La città che cura non nega il potere della medicina, ma “socializza” le sue risorse, i suoi strumenti e le sue conoscenze, applicando un nuovo modo di essere, di curare, di fare salute.
La città che cura applica una medicina radicata nei luoghi, nelle case, negli habitat sociali: incontra prima le persone, e poi le loro malattie, cercando di migliorarne il contesto di vita "non sulla base di una lista di prestazioni, ma con interventi che si strutturano cammin facendo, attirando competenze e abilità che di volta in volta scoprono o "inventano" la soluzione a un problema".
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