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di Lorenza Fiorilli
La psicologia ha preso “in prestito” questo concetto dalla fisica, con il quale si indica la capacità di un materiale di resistere agli urti senza spezzarsi e di riacquistare un assetto più possibile simile a quello originario.
Come un pezzo di metallo può subire degli urti e ritrovare una nuova forma, anche gli esseri umani hanno in sé la capacità di fronteggiare e superare un evento traumatico o un forte stress.
Ognuno di noi, chi più chi meno, ha dovuto fare i conti, nella vita, con un evento negativo: un lutto, una malattia improvvisa, la fine traumatica di una relazione amorosa, un tradimento da parte di una persona di cui ci fidavamo, un evento scioccante ed improvviso come un terremoto; o, in questi ultimi mesi, la pandemia a cui tutti noi stiamo assistendo.
Quando l’essere umano si trova ad affrontare queste circostanze, le prime sensazioni sono impotenza, dolore, sconcerto, delusione, rabbia, frustrazione; alcuni si fanno abbattere da queste emozioni negative, altri no. Da cosa dipende ciò?
Dal fatto di avere o no una personalità resiliente: ovvero, non solo di possedere la capacità di riuscire ad accettare e superare gli eventi negativi che la vita ci pone davanti, ma anche, e soprattutto, di vederli non come una sconfitta, non come una perdita di qualcosa o qualcuno, ma come una nuova opportunità da cui scoprire lati di noi che non sapevamo di avere, dalla quale rialzarsi e rinascere più forti di prima, dalla quale organizzare in maniera diversa la nostra quotidianità, e dalla quale, perfino uscirne “trasformati”.
Non è semplice, e neanche immediato tutto ciò, ma come afferma il noto psicologo statunitense George Bonanno: “Il genere umano è portato naturalmente alla resilienza”.
E’ essenziale, dopo una circostanza negativa o traumatica, non percepire noi stessi come vittime, non cadere nella trappola dell’autocommiserazione, non rassegnarsi con passività al corso degli eventi.
Ovviamente, ogni persona ha un proprio vissuto, ha un background culturale e sociale che può facilitare il mettere in atto un comportamento resiliente. Ci sono, però, alcuni fattori e risorse personali che possono contribuire a tutto ciò.
Tra questi:
· avere una rete sociale e affettiva di supporto (parenti ed amici) e cercare di creare nuovi legami, anche all’interno di un’ associazione di volontariato.
· accettare i cambiamenti come parte della vita stessa e non rimanere ancorati ad obiettivi che, in quel particolare momento, non si possono raggiungere.
· guardare agli eventi da un'altra prospettiva, cercando di non cadere nel catastrofismo ma adottando un tipo di pensiero più realistico ed equilibrato.
· perseguire sempre i propri obiettivi, compiendo ogni giorno un nuovo passo che ci consenta di arrivare alla meta.
· nutrire l’autostima, anche, semplicemente, aiutando un amico in difficoltà o una persona in un momento di bisogno. Fare tutto ciò che ci fa sentire utili.
· prendersi cura di se stessi e del proprio corpo, anche dedicando, semplicemente, un po’ di tempo alle cose che ci piace fare o che ci danno gioia o praticare esercizio fisico quotidiano.
· continuare ad avere sempre uno sguardo fiducioso e speranzoso sul futuro.
Collegato al concetto di resilienza c’è quello di coping, termine che, in ambito psicologico, indica l’insieme degli sforzi che un individuo mette in atto per ridurre o dominare gli eventi che lo minacciano; più semplicemente, esso indica i comportamenti che mettiamo in atto per fronteggiare un evento stressante.
Si individuano, in genere, quattro strategie di coping:
· quello centrato sulle emozioni che riguarda la gestione delle emozioni negative scaturite da un evento avverso, cercando di alleviare o ridurre il disagio derivante da esse.
· il coping centrato sul problema che si concentra nell’affrontare le cause del problema. L’individuo tende a comprendere meglio le cause del problema, cercando di risolverlo concretamente.
· il coping evitante con il quale, come suggerisce il nome stesso, si cerca di mettere da parte la causa dello stress, negando il problema o fuggendo da esso.
· il coping vigilante con il quale si affronta la situazione mettendo in atto azioni concrete, quali, ad esempio, cercare più informazioni riguardo quel particolare problema o chiedere aiuto ad altre persone.
Ovviamente, tale classificazione non è cosi “rigida”: alcune persone possono mettere in atto più strategie di coping contemporaneamente oppure passare da un tipo ad un altro, quando uno di essi si riveli inadeguato per l’individuo.
(...omissis..)
A cura della Dott.ssa Lorenza Fiorilli
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