In Europa si sta discutendo del nuovo Patto per la Migrazione e l’Asilo; molte associazioni italiane sono impegnate nel seguire i lavori, da diversi punti di vista. Noi segnaliamo un tema che ci sta molto a cuore: la denuncia di alcune associazioni del fatto che le attuali condizioni di accoglienza contribuiscono allo sviluppo di disturbi mentali nei nei migranti.
Da gennaio 2015, circa 1.900.000 rifugiati e migranti sono arrivati in Europa attraversando il Mar Mediterraneo.
La maggior parte di loro è sopravvissuta a torture, gravi violenze e altri eventi traumatici nei paesi di origine o lungo le rotte migratorie. Queste persone sono dunque particolarmente esposta al rischio di sviluppare disturbi da stress post-traumatico e altre forme di disagio psichico correlate alle drammatiche esperienze vissute.
Uno studio pubblicato lo scorso settembre da Medici per i Diritti Umani ha evidenziato che fattori di stress nell’ambiente post-migratorio -
le inadeguate condizioni di accoglienza nei grandi centri che contengono migliaia di persone - producono effetti dannosi molto rilevanti sulla salute mentale di molti richiedenti asilo e dei
rifugiati.
Sulla base di un campione di 122 rifugiati e richiedenti asilo africani da poco sbarcati in Italia e in cerca di assistenza psicologica, lo studio ha rilevato che
vivere in un grande centro di accoglienza (come il centro di accoglienza per richiedenti asilo situato a Mineo, in Sicilia, che in quel momento ospitava oltre 1.000
persone), piuttosto che in centri di piccole e medie dimensioni (meno di 1.000 persone), ha contribuito alla comparsa di un quadro clinico di stress post traumatico di particolare
gravità. Al momento dello studio, la struttura di Mineo era il più grande centro di accoglienza per richiedenti asilo in Italia e presentava un numero di fattori di stress ben maggiore rispetto
ai centri di piccole e medie dimensioni. Tra i fattori, il forte sovraffollamento (il centro di Mineo, con una capienza complessiva di 2.000 posti, è arrivato ad accogliere oltre
4.000 persone); l’isolamento geografico e sociale; una permanenza molto lunga, in attesa dell’ottenimento del permesso di soggiorno (18 mesi in media); le
difficoltà di accesso al Sistema Sanitario Nazionale e al supporto psicosociale e /o legale; gli episodi di degrado sociale, di violenza e di illegalità.
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