DA quotidianosanita@qsedizioni.it
La prima ondata della pandemia Covid-19 ha ridotto le attività dei Servizi di Salute mentale nel nostro Paese per cui il 20% dei Centri ambulatoriali è rimasto chiuso e il 25% ha ridotto gli orari di accesso.
Lo sottolineano i dati di uno studio della Società Italiana di Psichiatria (Sip) pubblicato su Bmc Psychiatry e presentato in occasione
dell’inaugurazione della prima conferenza italiana dei Direttori di Dipartimenti di Salute mentale. Una rete che nasce
dalla necessità di far fronte alle difficoltà di funzionamento di servizi indispensabili da tempo messi a dura prova dalla carenza di personale e dall’esiguità delle risorse messe a loro
disposizione nel nostro paese.
La fotografia scattata dalla Sip durante la prima ondata della pandemia conferma che l’emergenza Covid ha ridotto le attività dei servizi della salute mentale in Italia: le visite psichiatriche
programmate, sia a domicilio sia nello studio, sono state garantite solo per i pazienti più gravi, in molti casi sono state sostituite da colloqui a distanza.
Tutte le attività hanno avuto una significativa diminuzione, come i consulti psichiatrici ospedalieri (-30%), le psicoterapie individuali (-60%), le psicoterapie
di gruppo e gli interventi psicosociali (-90/95%), il monitoraggio di casi in strutture residenziali (-40%) e degli autori di reato affetti da disturbi mentali affidati dai tribunali ai Centri di
salute mentale (-45%).
E ancora, il numero dei posti letto negli SPDC degli ospedali è sceso del 12%, a causa della conversione in unità per pazienti positivi al Covid, o per garantire
una maggiore distanza fisica per i pazienti. Si è registrata come nelle altre discipline mediche una riduzione complessiva dei ricoveri (-87%), nonostante siano proseguite le consulenze
psichiatriche nei pronti soccorso, nelle unità mediche e chirurgiche e nelle unità Covid.
I disturbi dell’umore, le psicosi, i disturbi d’ansia e i tentativi di suicidio sono i problemi più frequenti di consulenza psichiatrica; il 21,4% dei reparti
segnala un preoccupante aumento dell’aggressività, della violenza e dei ricoveri in TSO (8,6% dei casi).
“I dati raccolti da Sip testimoniano come i servizi di salute mentale siano in emergenza – spiegano Massimo di
Giannantonio ed Enrico Zanalda, co-presidenti Sip –
come già sottolineato dalla stessa Sip sono in aumento i casi di depressione, ansia e di sindrome post-traumatica da stress, non solo fra i guariti Covid ma anche fra chi si trova a vivere in
condizioni radicalmente diverse rispetto a un anno fa. In questa nuova fase segnata dalla speranza per i vaccini è indispensabile gestire le patologie e i disturbi Covid-correlati, molti dei
quali legati alla sfera psichica. Per questo riteniamo necessario che il Governo prenda atto della situazione e decida, insieme alle Regioni, come ripartire valorizzando il concetto di rete e
l’assistenza”.
“Il nostro Coordinamento dei centri della salute mentale vuole aiutare i decisori istituzionali a individuare le soluzioni idonee per rendere la macchina della
salute più efficiente – precisano di Giannantonio e Zanalda – le emergenze sono tante e diverse in questo momento, ma è fondamentale evitare il dilagare della depressione come effetto della
pandemia di Covid: senza salute mentale non ci potrà essere ripresa e per parlare di rinascita dell’economia del Paese, per discutere di sviluppo e di futuro, è necessario che gli italiani siano
in condizioni fisiche e mentali che consentano di affrontare le sfide della ripartenza. Coinvolgere tutti i servizi territoriali con una rivoluzione che aiuti i pazienti è essenziale: la maggior
consapevolezza dei disturbi legati alla psiche è il primo passo, ma la telepsichiatria e il monitoraggio a distanza sono percorsi obbligati che Stato e Regioni oggi sono chiamati a
compiere”.
Lo sforzo coinvolge tutta Europa,
come dimostra la recente pubblicazione di un nuovo documento
guida sulle politiche transnazionali per la salute mentale nel
mondo digitale, nell’ambito del progetto europeo Interreg “eMen”: già prima della pandemia di Covid-19, ogni anno i disturbi mentali contribuivano a circa il 15% del peso complessivo della sanità
in Europa con costi diretti e indiretti pari a circa 600 miliardi di euro, il 4% del Pil, e numeri destinati a raddoppiare entro il 2030. Ogni anno 84 milioni di europei sono colpiti da un
problema di salute mentale, 84mila persone muoiono per disturbi mentali o a seguito di suicidi; il 5% degli europei ha sofferto di un disturbo depressivo, circa il 4% ha avuto un disturbo
d’ansia.
La pandemia sta peggiorando la salute mentale degli europei, per i quali già prima erano evidenti difficoltà di accesso alle cure, come si legge nel documento:
“Molte persone con disturbi mentali non ricevono un trattamento tempestivo e adeguato a causa di lunghe liste d’attesa, stigma e atteggiamenti negativi verso la psicoterapia o i servizi di salute
mentale, con divari ancora evidenti fra i vari Paesi UE. Tutto questo mentre si stima che entro il 2030 i disturbi depressivi diventeranno la principale causa di disabilità nei Paesi ad alto
reddito”.
Dal documento emergono possibili soluzioni che proprio una Rete di Dipartimenti di salute mentale può avere la forza adeguata a mettere in atto, grazie
soprattutto all'aiuto della telemedicina e all’integrazione della sanità digitale nel mondo della salute mentale: app per smartphone e dispositivi indossabili per un monitoraggio e un continuo
collegamento con i pazienti, visite online, utilizzo di intelligenza artificiale, realtà virtuale e gaming per la prevenzione e il trattamento delle patologie mentali sono alcune delle
opportunità possibili.
“L’utilizzo di strumenti di e-health nel campo della salute mentale può migliorare l’accessibilità ai trattamenti, ridurre lo stigma, rendere più semplici e
flessibili gli interventi pur senza modificare la qualità delle cure – osservano gli esperti – una rete di Dipartimenti di salute mentale è il mezzo attraverso cui sarà possibile introdurre anche
queste novità nella pratica clinica: la necessità di distanziamento fisico imposta dal contenimento del Covid-19 non deve trasformarsi in un abbandono dei pazienti, ma anzi può diventare la
spinta per utilizzare nuove risorse utili a migliorare il benessere mentale della popolazione”.
“Attraverso la rete dei servizi vogliamo stimolare i decisori ad inserire le persone con disturbi mentali in trattamenti presso i DSM ad essere considerate tra le
categorie fragili e quindi meritevoli di avere un accesso preferenziale al vaccino. Da anni sappiamo che i pazienti con disturbi mentali hanno un aspettativa di vita inferiore sia per le
difficoltà a rispettare le norme igieniche di vita (corretto rapporto peso altezza, astensione dal fumo, ecc) che determina una maggiore prevalenza di patologie fisiche concomitanti. Ci uniamo
pertanto all’appello lanciato dalla World Psychiatric Association – concludo gli esperti – affinché le persone con disabilità fisica e mentale abbiano un accesso preferenziale nella campagna di
vaccinazione anti Covid-19”.
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