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Uno psichiatra pubblico ogni circa 10mila cittadini adulti (9.588 dati istat residenti) e uno psicologo pubblico circa ogni 12mila cittadini (11.899 dati istat residenti), con una età media di 52 anni per i medici e di quasi 56 anni per gli psicologi.
Questi i numeri che risultano dal Report sul personale del Servizio Sanitario Nazionale del Ministero della Salute relativo all’anno 2018, appena pubblicato.
Si tratta di numeri critici sia per gli psichiatri che per gli psicologi, che non consentono ai Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) - e più in generale alle ASL per quanto riguarda le
dipendenze, i consultori, i servizi per la disabilità e i distretti sociosanitari - di rispondere in modo appropriato ai bisogni assistenziali di natura psicopatologica, con importanti diseguaglianze regionali che stanno sempre più crescendo.
Va, inoltre, considerata anche la carenza nei DSM delle altre figure professionali centrali per una risposta multiprofessionale, dagli infermieri agli educatori e dagli assistenti sociali ai
terapisti della riabilitazione psichiatrica, che vede, a partire dai dati del Rapporto
Salute Mentale 2018 del Ministero della Salute, complessivamente una mancanza di oltre 14mila unità.
Va sottolineato che in salute mentale il ruolo dell’operatore e del rapporto relazionale con gli utenti e i famigliari è la chiave principale per dare una
risposta appropriata non solo di natura biologica, ma soprattutto di natura psicologica e di integrazione sociale. Con un’attenzione particolare alla necessità di immissione nel servizio pubblico
di professionalità più giovani, ma con una formazione da ancorare alle pratiche territoriali senza rinchiuderla solo all’interno dei servizi ospedalieri dei Policlinici
Universitari.
La capacità di rispondere al bisogno assistenziale da parte dei DSM - comprensiva dei tre modelli clinico organizzativi indicati dal Piano di Azioni Nazionale per
la Salute Mentale (PANS) della collaborazione/consulenza, assunzione in cura, presa in carico - è stata stimata da uno studio realizzato da Fabrizio
Starace ed altri in
circa il 55% di quanto sarebbe necessario.
Si tratta di valutazioni pre-pandemia che andrebbero riviste alla luce della recentissima indagine
dell’OMS condotta su 130 Paesi che
ha mostrato “l'impatto devastante del Covid-19 sull'accesso ai servizi di salute mentale e sottolineato l'urgente necessità di maggiori finanziamenti”.
A fronte di una spesa per la salute mentale in Italia del 3,5% del Fondo Sanitario Nazionale sarebbe stato necessario almeno il 5% già prima del
Covid-19.
C’è bisogno quindi di maggiori investimenti e di più risorse per la salute mentale nell’ambito del necessario potenziamento più complessivo dell’assistenza
territoriale, come la pandemia ha evidenziato.
In particolare andrebbe riunificata la parte sanitaria con quella sociale, inscindibili per una appropriata presa in carico dei cittadini con complessi disturbi
mentali, con la possibilità di una diffusa attuazione su tutto il territorio nazionale del budget di salute.
Una scommessa che passa attraverso un investimento programmatico nell’ambito del Recovery Plan, di rinnovati piani regionali e del mantenimento dell’impegno anche
da parte del nuovo Governo di realizzare una Conferenza Nazionale per la Salute Mentale, quale occasione culturale, politica e scientifica, per un necessario rilancio della salute mentale di
comunità nel nostro paese.
Massimo Cozza
Psichiatra, Direttore del Dipartimento Salute Mentale ASL Roma 2
Tratto da: http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=92355&fr=n
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