Scrittura e psicoterapia nell’esperienza di Grazia Verasani
“Scrivere fa sempre bene, soprattutto in questa fase in cui c’è bisogno di raccogliersi, pensare e sfogarsi. La scrittura è terapia. Ma confesso che adesso faccio molta fatica perché scrivere ha anche bisogno di tranquillità, mentre invece da un anno siamo tutti fissati, quasi come un fermo immagine, in un’attesa che si prolunga indeterminatamente”.
DA psicoradio@gmail.com
Grazia Verasani, scrittrice e sceneggiatrice, si racconta a Psicoradio, in una riflessione che passa dal legame tra letteratura e salute
mentale fino all’esperienza personale della depressione.
Autrice di racconti e romanzi noir, tra i quali la serie dedicata alle vicende dell’investigatrice privata Giorgia Cantini, protagonista del
celebre Quo vadis baby? e dell’ultimo lavoro Come la pioggia sul cellofan, Verasani ha affrontato in più occasioni i temi della psiche. Lo ha fatto con il suo spettacolo
teatrale From
Medea, incentrato sul tema dell’infanticidio, e nei
monologhi Accordi
minori dedicati ad artisti come
Amy Winehouse, Kurt Cobain, Mia Martini o Luigi Tenco, accomunati da un’esistenza tormentata da problemi la depressione.
Verasani ci dice di aver affrontato lei stessa in passato “un tracollo” e di averlo superato grazie al supporto psicoterapeutico e
farmacologico di uno specialista che l’ha “risollevata da una depressione molto forte”. La scrittrice ricorda il suo timore, quando le sono stati prescritti i farmaci: “ho sempre avuto
paura delle dipendenze, ma ho dovuto prendere le misure con un regime terapeutico che insieme a una adeguata psicoterapia, prevedeva anche una dipendenza dal farmaco." Racconta: “Nel mio caso mi
ha proprio salvato la vita. Quando ho cercato un aiuto non avevo più voglia di vivere. Sono stata molto fortunata. Sono stata curata con un uso modico di farmaci, con uno psichiatra che si è
preoccupato molto del fatto che mantenessi sempre lucidità, che era fondamentale per la mia creatività”.
E proprio in un momento depressivo come quello attuale Verasani consiglia di aggrapparsi alle parole come forma di terapia, anche semplicemente tenendo un diario,
se trovare idee per un progetto più strutturato può risultare difficile. Per questo, conclude la scrittrice, è grave che “non si parli mai o quasi mai degli effetti psichici e neurologici di
questa prigionia, di questa vita che è una sorta di camicia forzata in cui siamo delimitati e controllati. Sono strategie che alla lunga diventano disumanizzanti. (…) Credo che ci ritroveremo
molto acciaccati. Penso anche alle categorie a me più affini, come i musicisti e gli artisti, che non lavorano da un anno. Ma tutti ne usciremo a pezzi; bisognerà saper ri-costruire di
nuovo”.
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