Tutto qui
È incomprensibile come ci sorprenda la fragilità. Eppure siamo intessuti di fragilità. Ci ammaliamo, anche da giovani, anche da bambini. Si cade. Ci si dimentica. Ci sbagliamo. Siamo capaci di tradire. Veniamo traditi. A volte le forze, fisiche e psichiche, vengono meno. Ma teniamo, come dire, sotto orizzonte tutto questo, li consideriamo incidenti di un percorso luminoso e ben difeso. Difeso dalla consapevolezza, perché la fragilità è ovunque, e bisogna soprattutto impegnarsi per non vederla. Ci sono i timidi a scuola. “È timido” sembra una malattia da curare, si convocano i genitori, si dà un voto in meno in condotta perché lo studente non interviene, non si ha la pazienza di aspettare la risposta, di incoraggiare a essere quello che si è. E poi si continua col chiamare sfigati quelli che non si fanno valere, con l’allontanare la povertà dalle piazze per motivi di decoro, e poi le malattie dentro gli ospedali, i vecchi nelle case di riposo. Via dagli occhi, via via. Quel che non si vede non c’è. E così quando la fragilità si impone, nella forma di una torsione lancinante del nostro sguardo, costretto a vederla negli occhi sgomenti di chi amiamo, che non ci riconoscono, non riconoscono proprio noi, figli, mariti, affetti carissimi, allora almeno per un momento siamo fermi, un momento in cui dobbiamo decidere se questa volta vogliamo ancora scappare oppure se della nostra vita può far parte quella verità assoluta che è la sua fragilità.
C’è questa idea, mito, folle autoconvinzione che la vita sia vita solo se si riesce a ignorare la sua fragilità. Ma la fragilità, con tutto il suo disordine, è la verità delle nostre vite. La vita è sempre fragile e disordinata. Ecco la verità. I ragazzi a scuola sono fragili e disordinati. Ce lo ricordano ogni giorno con la forza del loro essere nuovi e noi ne abbiamo paura. ecco perché chiediamo una diagnosi. La diagnosi ci rassicura. È circoscritta la diagnosi. È un problema che va risolto con interventi dispensativi o compensativi.
La risposta giusta sarebbe: “È lui signora, tutto qui”. Invece preferiamo che sia malato, disturbo dell’attenzione, possibile lieve dislessia, possibile lieve disturbo dello spettro autistico, perché pensiamo di poterlo curare o di poter accusare i dottori, la scuola, il mondo.
Tutto qui.
Tratto da:
Maria Pia Veladiano, Adesso che sei qui, Ugo Guanda Editore, Milano, 2021, pagg. 182-183
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