DA quotidianosanita@qsedizioni.it
28 APR - I principi di sanità territoriale e di integrazione socio sanitaria, contenuti nel Recovery Plan rappresentano una importante occasione per riqualificare e potenziare i servizi pubblici per la salute mentale.
Il budget per questo settore è fermo a circa il 3,5% del Fondo Sanitario Nazionale quando Francia, Germania e Regno Unito stanziano circa il 10%, Abbiamo un solo psichiatra ogni 10mila
abitanti e 1 psicologo ogni 12mila (QS).
La rete dei centri di salute
mentale, dei servizi psichiatrici di diagnosi e cura, delle strutture residenziali e dei centri diurni, dei servizi di neuropsichiatria infantile e dei disturbi del comportamento alimentare, sono
disomogenei nel territorio, e troppo spesso carenti.
C’è una situazione allarmante di disagio psichico in seguito alla pandemia, che continuerà nel tempo, in particolare tra gli adolescenti, per diverso tempo socialmente più isolati in casa e senza
scuola, con un aumento dei gesti autolesionismo fino all’aumento dei tentativi di suicidio, con una crescita dei disturbi del comportamento alimentare. La pandemia, inoltre, ha avuto un forte
impatto emotivo in particolare per chi è stato colpito dal Covid-19, per i familiari dei deceduti, per chi ha avuto ed avrà maggiori danni economici e lavorativi.
La stessa OMS ha sottolineato l'urgente necessità di maggiori finanziamenti in questo ambito.
Tutti i protagonisti della salute mentale - associazioni, ordini professionali e società scientifiche, coordinamenti e sindacati – hanno chiesto specifiche risorse con maggiori stanziamenti
stimati in circa 2 miliardi.
A fronte di questa situazione nel Recovery Plan non è presente un capitolo specifico con finanziamenti vincolati per la salute mentale, ma vi sono diverse linee progettuali con risorse che
potrebbero/dovrebbero essere sviluppate anche per dare risposte al crescente disagio psichico. In particolare la salute mentale viene finalmente citata nell’ambito degli impegni assunti:
“Individuare standard qualitativi, tecnologici e organizzativi, uniformi a livello nazionale, significa ristrutturare a livello regionale una gamma di servizi che spaziano dall’assistenza
primaria, ai consultori familiari, all’area della salute mentale, salvaguardando, al contempo, le peculiarità e le esigenze assistenziali di ogni area del Paese. Lo scopo è garantire alle
persone, indipendentemente dalla regione di residenza, dalla fase acuta alla fase riabilitativa e di mantenimento, un’assistenza continua e diversificata sulla base dello stato di
salute.”
La definizione di standard strutturali, organizzativi e tecnologici omogenei per l’assistenza territoriale e l’identificazione delle strutture a essa deputate si dovrà adottare entro il 2021 con
l’approvazione di uno specifico decreto ministeriale.
La Casa della Comunità - struttura fisica in cui opererà un team multidisciplinare di medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialistici, assistenti sociali, infermieri
di comunità – seppure non previsto esplicitamente, potrà svolgere il punto di riferimento prioritario per i disturbi emotivi comuni che non necessitano di cure continuative, con la
consulenza/collaborazione dei Dipartimenti di Salute Mentale, e quale luogo di valutazione per cittadini con patologie multidimensionali e di confine con la psichiatria. L’istituzione di 1288
Case della Comunità entro la metà del 2026, con un budget di 2miliardi, potrebbe costituire una importante rete socio-sanitaria anche per il disagio emotivo.
La salute mentale, inoltre, dovrebbe avere un ruolo importante anche nell’ambito dei percorsi di assistenza domiciliare per i quali sono previsti 4 mld, ma che non dovrebbero essere limitati
esclusivamente alla popolazione oltre i 65 anni. Il potenziamento dei servizi domiciliari rappresenta un punto centrale per una psichiatria territoriale che i Dipartimenti di Salute Mentale
dovrebbero sviluppare nei luoghi di vita, negli appartamenti (“la casa come primo luogo di cura”) con piani individuali, da costruire anche attraverso il budget di salute, centrato sulla
integrazione sociale e sanitaria, nell’ambito del percorso riabilitativo.
La missione della inclusione sociale e della coesione potrà giocare un ruolo importante per la salute mentale comunitaria attraverso il “rafforzamento del ruolo dei servizi sociali territoriali
come strumento di resilienza, mirando alla definizione di modelli personalizzati per la cura delle famiglie, delle persone di minore età, degli adolescenti e degli anziani, così come delle
persone con disabilità”, anche attraverso l’housing sociale.
“Gli interventi previsti interessano le persone più fragili, nella loro dimensione individuale, familiare e sociale. Il fine è prevenire l’esclusione sociale intervenendo sui principali fattori
di rischio individuale e collettivo, e assicurare il recupero della massima autonomia delle persone.”
Coerente con questo obbiettivo è l’impegno, previsto nel Piano, di accelerazione della riforma del Terzo Settore (volontariato, associazionismo, cooperazione sociale), al cui completamento
mancano ancora importanti decreti attuativi.
Per la realizzazione in salute mentale di questi obbiettivi c’è però bisogno di investire in politiche occupazionali in primo luogo per i Dipartimenti di Salute Mentale delle Asl, essendo
centrale il rapporto interpersonale tra operatori ed utenti. C’è la necessità, ad integrazione del Recovery Plan, di adeguati finanziamenti per implementare il capitale umano, sempre più carente,
in sintonia con l’obbiettivo del ricambio generazionale nella Pubblica Amministrazione contenuto nello stesso Piano. Non servono solo più figure professionali ma anche nuovi percorsi di
formazione che garantiscano una preparazione sul campo centrata sulla persona e sulle variabili biopsicosociali in una logica di integrazione sociale sanitaria, e non più sull’aspetto meramente
biologico.
Infine, una opportunità importante anche per la salute mentale presente nel Recovery Plan è rappresentata dal potenziamento del fascicolo sanitario elettronico (FSE) al fine di garantirne la
diffusione, l’omogeneità e l’accessibilità su tutto il territorio nazionale, consentendo in tempo reale il riconoscimento della storia anamnestica e clinica di ciascun utente.
Un ruolo minore, invece, potrà giocare la telemedicina in psichiatria, in quanto il rapporto fisico interpersonale costituisce la base fondamentale della presa in carico nei Dipartimenti di
Salute Mentale. Presenta, inoltre, alcuni importanti limiti, a partire dalla difficoltà della lettura della comunicazione non verbale, da una empatia limitata dalla freddezza del collegamento, a
volte difficoltoso, da una efficacia che è ancora discussa in ambito scientifico, con problematiche applicative in particolare per le persone che soffrono di disturbi psichici complessi.
La telepsichiatria può comunque essere riservata a situazioni specifiche, come ad esempio il lockdown oppure di difficoltà a spostarsi, ma da regolamentare da parte delle istituzioni sanitarie
pubbliche anche attraverso adeguate precauzioni sulla privacy.
In conclusione, nel Recovery Plan certamente sarebbe stato più opportuno dedicare alla salute mentale un apposito capitolo con specifiche risorse, da integrare con un piano
occupazionale/formativo centrato sul ricambio generazionale, ma la logica delle reti di prossimità in sanità e dell’inclusione sociale rappresentano una sfida da non perdere per chi è impegnato
per una psichiatria comunitaria e per i diritti di cittadinanza.
Massimo Cozza
Psichiatra, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale ASL Roma 2
Tratto da:
http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=95022&fr=n
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