Trasmettere fiducia e speranza nelle propria malattia, il ruolo degli UFE
Spesso in salute mentale si viene alle strette col dolore e la sofferenza degli utenti, entrando in una dimensione di impotenza rispetto al loro stato di disagio. Si ragiona quindi per cercare di dare un limite alla sofferenza e di curarne il più possibile l’origine. Tra i vari modi per raggiungere questo obiettivo c’è quello rappresentato dal ruolo dell’UFE (Utente, Familiare, Esperto), ossia una persona, o un familiare di una persona, che ha vissuto un disagio mentale grave e che lavora presso i servizi di salute mentale, supportando i pazienti nel percorso di cura, fornendo informazioni, accogliendo chi è in carico presso una struttura o un servizio, aiutandolo a partire dalla propria esperienza personale. Di questo ruolo ne ha parlato ai microfoni di Radio 32 Roberto Cuni dell’associazione Il Cerchio – fareassieme, referente del movimento Le Parole Ritrovate, che coordina il lavoro di molti UFE in diverse aree di Trento.
Il Cerchio – fareassieme si occupa degli UFE all’interno dei servizi ed è frutto di un lungo percorso, «abbiamo iniziato con alcune aree e abbiamo riscontrato ottimi sviluppi» racconta Roberto Cuni, spiegando che «prima degli UFE le persone non venivano accolte in modo empatico e quindi sorgevano dei problemi tra familiari, utenti e operatori, ma con l’arrivo degli UFE, presenti tutti i giorni dalle 8:00 alle 17:00, le cose sono subito migliorate».
Gli UFE sono stati inseriti anche nel reparto SPDC, il cui accesso di solito resta chiuso, favorendone però l’apertura, dove si è riscontrato che le chiamate notturne erano quasi scomparse; poi gli UFE sono stati inseriti anche nelle case supportate, nelle crisi territoriali, nella sensibilizzazione e nei percorsi condivisi dove oggi ricoprono il ruolo di garante.
Il referente de Le Parole Ritrovate afferma che l’UFE «può conferire fiducia e speranza nella persona con sofferenza mentale, trasmettendo messaggi positivi di grandi e significativi cambiamenti poiché l’accettazione della propria malattia è il presupposto necessario per poterla curare». Ed è proprio per questo che l’utente esperto è importante in un’ottica di accoglienza nei servizi per gli altri utenti.
L’associazione che opera da venti anni con 25 operatori, di cui 10 UFE, ha avuto origine «fissando un appuntamento settimanale con un gruppo di operatori, utenti, familiari e cittadini con l’idea di organizzare una gita assieme a settimana ed è venuto a galla che soprattutto gli utenti, un po’ meno i familiari, avevano voglia di partecipare al servizio per aiutare gli altri utenti», afferma il referente rivelando che «alcuni utenti ci hanno mostrato conoscenza e consapevolezza della loro malattia così abbiamo deciso di investire su di loro. Abbiamo dato un nome a un ruolo che le persone già svolgevano da tempo. La storia degli UFE infatti è nata dal basso, da individui che ci hanno creduto».
Per svolgere il ruolo di UFE non c’è un vero e proprio percorso formativo, ma deve esserci un percorso di conoscenza reciproca. Per diventare UFE è necessario il sapere esperienziale ed è ciò che Il Cerchio chiede di trasmettere a chi è in difficoltà. «Se non si parte dal proprio percorso di cura non si può essere UFE, poiché il ruolo prevede di trasmettere la propria esperienza anche essendo ancora in cura o assumendo farmaci, se necessario. C’è bisogno che l’UFE racconti chi è agli altri utenti» spiega Cuni, che evidenzia: «non si può immaginare di stare male nello svolgere il ruolo di UFE, se la persona non ha la sua tranquillità rispetto alla malattia è meglio che si fermi per curarsi. In questi anni quando ci sono state delle ricadute per gli UFE, questi si sono fermati in accordo con noi».
Nel servizio di salute mentale di Trento non ci sono stati grandi problemi nel rapporto tra UFE e operatori perché esiste la cultura del “fare assieme” e gli UFE sono molto apprezzati. Quanto alla retribuzione, è di circa 1400 euro mensili per gli assunti a tempo pieno e fa riferimento alle paghe degli OSS delle cooperative; ma ci sono anche alcuni collaboratori con contratto part-time e altri retribuiti con borse lavoro regolate da una delibera provinciale che ha fissato un tetto ore con una retribuzione massima di 500 euro. Ora, Cuni fa sapere che si sta lavorando per rendere uniforme la presenza degli UFE sul territorio nazionale (per maggio era programmato un convegno delle realtà del supporto tra pari a Bologna, rimandato a causa dell’emergenza sanitaria) con lo scopo di dare un unico nome a questa figura per tutte le realtà regionali, stabilendone la formazione e le retribuzioni.
Edgardo Reali, Andrea Terracciano
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