Il musicista Nicola Manzan è noto soprattutto per il progetto Bologna Violenta; adesso, nel suo ultimo album La città del disordine racconta in musica le storie di otto persone che furono ricoverate nell’ex-manicomio San Lazzaro di Reggio Emilia.
DA psicoradio@gmail.com
3/6/2021 10:04
Isabella, ossessionata dalla scrittura e convinta di essersi sposata di nascosto con un medico; Arcangelo, venditore di cappelli
con intense crisi mistiche; Adele, tredicenne, certa di aver visto la madonna in un ginepro; Arturo, caduto in
depressione in seguito a un brutto scherzo dei suoi "amici"… Sono alcune delle tragiche vite scelte da Manzan per il disco, nato dalla collaborazione con
il Museo della Storia della Psichiatria di Reggio Emilia.
"Inizialmente la necessità era quella di fare un'audioguida per il museo", ci racconta Manzan. "L'idea di Giorgia Cantoni,
Responsabile della Comunicazione, è stata quella di ampliare il progetto e fare un disco partendo dalle cartelle cliniche che mi sarebbero state fornite e poi da questo ricavare un' audioguida".
Di solito la sua musica è molto più estrema e sperimentale; le sonorità con le quali ha composto La città del disordine sono invece più vicine a quelle dei suoi studi
classici. In accordo con la direzione del Museo della Psichiatria ha scelto infatti di esprimere soprattutto il lato umano di questi internati, rispetto alla violenza
della reclusione forzata.
Per riuscirci, ha dovuto approfondire lo studio di ciascun caso: "Ho cercato di capire la storia che c'era dietro a ogni personaggio e di raccontarla in
musica, anche attraverso dettagli che magari conosco solo io. Nella storia di Adele, per esempio, ho usato un pianoforte giocattolo per dare il senso dell'infanzia, oppure ho cercato di
sottolineare lei che corre per i prati con l'amica mentre il padre le sgrida. Quindi, da un lato c'è stato il tentativo di caratterizzare ogni persona creando un tema apposito, dall'altro la mia
intenzione era quella di creare ambienti sonori che potessero rendere giustizia alle loro storie".
Manzan ci racconta che non aveva mai avuto esperienza diretta con i temi della salute mentale; dover studiare le cartelle cliniche gli ha fornito un'idea
molto più reale dei malati e della vita nei manicomi, trasformando quella sicuramente più superficiale che aveva in precedenza.
"Certe storie vanno raccontate perché altrimenti vengono dimenticate o insabbiate, come per la vicenda della Uno Bianca; mi piace pensare che con la mia
musica possa raccontare a chi viene ai miei concerti o compra i miei dischi storie che altrimenti non avrebbe conosciuto. Avere l'opportunità di fare un disco che racconta com'erano gli ospedali
psichiatrici è stato importante: sono testimonianze che fanno riflettere e che possono cambiare anche la visione che si ha della propria vita".
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