Non tutti sanno che in Italia esiste ancora l’elettroshock,
o terapia elettroconvulsivante. Eppure è così. La nuova puntata del podcast si concentra sul numero 91: sono 91 le strutture ospedaliere, sia pubbliche che private, che praticano
ancora la terapia elettroconvulsivante.
È una terapia che negli anni è molto cambiata e non è più dolorosa come siamo abituati a pensarla, ma continua ad essere uno strumento che divide l’opinione degli psichiatri, e di cui non si conoscono i veri meccanismi di azione. Come sostiene Giovanni De Plato, psichiatra e professore di psichiatria all’Università di Bologna, che nel 1998 è stato a capo della commissione regionale dell’Emilia-Romagna per la scrittura delle linee guida che limitano l’uso dell’elettroshock, “sul piano scientifico non c'è ancora nessuna documentazione sul meccanismo attraverso cui una scarica elettrica potrebbe produrre un effetto di salute, anzi: da quel che sappiamo, non lo produce. L’effetto è soltanto momentaneo, ma il meccanismo che c'è dietro a tutt'oggi non sappiamo qual è”. Al momento, l’elettroshock può essere richiesto solo in alcuni rari casi, come la depressione maggiore, una patologia che può portare a uno stato semivegetativo. Solo con quelle ragioni, e solo “nel caso in cui non c'è alternativa praticabile – afferma De Plato – l'elettroshock può avere una sua giustificazione”. Gli ultimi dati raccolti in maniera sistematica dalla Commissione di inchiesta parlamentare sul servizio sanitario nazionale raccontano che, solo nel triennio 2008/2010, son state più di 1.400 le persone a cui è stata praticata la terapia elettroconvulsivante. Giulia, una donna che molti anni fa ha subito una serie di 12 elettroshock, ne commenta l’efficacia: “Io non ne ho avuto alcun beneficio”.
PER ASCOLTARE LA PUNTATA SULL’ELETTROSHOCK
(durata minuti 8:39)
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