foto di ROSANNA TINTORI
Mostra collettiva Fotografica “Cuneo Celata Cuneo Svelata” (a cura di Veruschka Verista)
Non si cambia il modello organicista della salute mentale senza un piano concreto di intervento che coinvolga gli utenti
Articolo segnalato da Susanna Bernelli,
del Movimento nazionale Le Parole Ritrovate, Verona
In questi ultimi mesi si è scatenato nel panorama della salute mentale italiana, e potremmo dire mondiale, un vero e proprio “shock” sul quale si è dibattuto molto sui media e social a livello internazionale.
Ci riferiamo al proposto cambiamento di leadeship del sistema della salute mentale di Trieste e del Friuli, che prelude al dissolvimento del modello psico-sociale basagliano e alla sua sostituzione con un paradigma bio-psico-sociale, che in realtà, come si può dedurre dalle notizie sull’indirizzo teorico della nuova leadership, sarà probabilmente quello della psichiatria costruita su principi organicisti che derivano dalla “scienza corporativa”, fondata su concetti “pseudo-biologici” che, come tali, non sono stati mai provati.
Senza dilungarci sul soggetto, è necessario ricordare che, mentre c’è amplissima evidenza dell’enorme importanza dei determinanti psico-sociali della salute mentale sul benessere fisico e psichico delle persone, per quanto riguarda il modello bio-medico o organicista non si rileva alcuna evidenza di beneficio a medio e lungo termine, nonostante l’immensa mole di ricerca, sponsorizzata soprattutto da Big Pharma.
In sostanza, il fatto che gli psicofarmaci annullino o diminuiscano i sintomi di disagio emotivo a breve termine, non equivale a dire che ne curino la causa.
A questo proposito, la psichiatra inglese Joanna Moncrieff afferma che non si può parlare di un modello medico-psichiatrico, perché questo implicherebbe la chiara evidenza di una causa biologica che in realtà non c’è.
Quindi, più correttamente, si dovrebbe parlare di un modello farmacologico che si limita alla comprensione dei meccanismi d’azione e degli effetti degli psicofarmaci, senza identificare le vere cause del disagio emotivo.
E forse, è proprio in questo concetto che può essere identificato il significato e il pericolo della trasformazione del sistema della salute mentale triestina e friulana: l’abbandono della vera scienza basata su dati solidi, che evidenziano le cause psicologiche, relazionali e sociali del disagio emotivo, per abbracciare un modello organicista essenzialmente pseudo-scientifico, che mina le basi stesse dell’approccio basagliano.
Allen Francis, noto psichiatra americano, in un articolo apparso recentemente sulla rivista Lancet e ripreso da MAD IN AMERICA, ha messo in risalto che nell’ambito del modello triestino:
“I pazienti sono cittadini trattati con dignità e rispetto; la loro inclusione nelle attività quotidiane della comunità ha una grande valenza terapeutica; il contatto con la comunità crea un tessuto sociale di integrazione; i pazienti stanno meglio quando si sentono liberi e possono utilizzare i loro punti di forza”.
Proseguendo sul tema, afferma:
”Trieste promuove la salute mentale mettendo in primo piano le relazioni interpersonali, il coinvolgimento della famiglia, il miglioramento delle condizioni di vita e le opportunità di lavoro e svago. Il trattamento involontario, l’isolamento e le “porte chiuse” vengono eliminati in un sistema che accoglie e ha premura dei bisogni individuali”.
Allen Francis, sebbene in passato abbia contribuito alla quarta edizione del DSM (manuale statistico e diagnostico) di psichiatria, che ha favorito lo slittamento progressivo della psichiatria mondiale verso l’orientamento organicista, si è schierato, dopo un processo di revisione delle evidenze scientifiche ed aver apprezzato realtà alternative come quella di Trieste, su posizioni che riconoscono nei percorsi terapeutici psicosociali l’approccio più benefico e positivo ai problemi di salute mentale.
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