Disturbo bipolare, il racconto di Ilaria: “Solo parlando si combatte lo stigma”
di Mariangela Masiello
In Italia ci sono circa un milione di persone affette da disturbo bipolare. In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale del 10 ottobre abbiamo parlato con Ilaria Iacoviello, designer che dal 2011, anno in cui le è stata diagnosticata la malattia, racconta il disagio psichico sui social (https://www.facebook.com/ilariaiacoviellodesign) per combattere pregiudizi e disinformazione.
Immaginate di essere pieni di vita e di entusiasmo, di essere talmente tanto felici da riuscire quasi a toccare il cielo con un dito. Ora provate a pensare di perdere improvvisamente tutto, di sentire che questa carica vitale vi abbandona e lascia il posto al vuoto, all’abisso. Ricominciate da capo e provate a immaginare di continuare ad alternare gioia e dolore per il resto della vostra vita. Questa altalena emozionale ha un nome ben preciso: si chiama disturbo bipolare.
“Durante la stesura della tesi specialistica sono andata in depressione. Non volevo più laurearmi, non ne sentivo più la necessità, ero abbattuta, non mangiavo” racconta Ilaria Iacoviello, designer, cui nel 2011 è stato diagnosticato il disturbo. “All’inizio si pensava che si trattasse solo di un episodio e quindi sono stata curata con un antidepressivo. Dopo qualche mese però ho avuto la mia prima crisi maniacale: sono tornata a casa piena di piercing, con i capelli tinti di rosso e senza più soldi sul conto. A quel punto si è capito che non era una ‘semplice’ depressione, ma il manifestarsi di un disturbo bipolare”. A Ilaria viene diagnosticato un disturbo bipolare di “tipo 2”. All’inizio la situazione sembra essere sotto controllo poi però, a causa della reazione avversa ad un farmaco, arrivano depressione e psicosi: “Sentivo delle voci che mi parlavano e io rispondevo - spiega- Ci sono psicosi olfattive, uditive e visive. Le più brutte sono quelle uditive perché spesso ti dicono di fare delle cose. Io sentivo una voce neutra che mi diceva che non meritavo di mangiare, che non meritavo di vivere, continuava a ripetermi che se mi fossi tagliata le braccia mi sarei sentita meglio. Quando mi sono resa conto di essere arrivata al limite mi sono fatta ricoverare, volontariamente, nel reparto di psichiatria. Non riuscivo più a mangiare, ero arrivata a pesare 38 chili. In più avevo la sindrome delle gambe senza riposo e continuavo a tremare”.
Esistono numerose possibilità di trattamento del disturbo bipolare e, con la giusta terapia, i pazienti riescono a raggiungere un livello di stabilizzazione della malattia e possono condurre una vita normale. “Essere bipolare è come vivere sulle montagne russe, è come essere Icaro. Icaro non deve volare mai troppo vicino al sole perché altrimenti si brucia, e non deve volare troppo vicino all’abisso perché altrimenti cade in depressione. Deve volare tra il cielo e la terra” spiega ancora Ilaria mentre prova a descrivere la malattia. “Immagina una linea, consideriamola come la tua linea di felicità. La mia linea di felicità invece è un po’ più alta della tua. Quando io ho un momento di sconforto, cado. Certo, finisco su quella che è la tua linea di felicità, ma per me è comunque una caduta. Quindi tu sei felice, io però percepisco del malessere. E se cado ancora più giù è possibile che io vada in uno stato depressivo. Così come da uno stato depressivo potrei impennarmi e salire nella felicità, anche se non si tratterebbe di una felicità sana. Una persona bipolare deve stare continuamente attenta e deve fare molto affidamento sugli altri, questo perché quando vai in depressione te ne accorgi, e anche tanto, ma quando vai in mania non te ne rendi conto così immediatamente”.
A novembre 2020 Ilaria cade di nuovo in uno stato di depressione piuttosto forte e, per la seconda volta, trova la forza di salvarsi da sola, facendosi nuovamente ricoverare in psichiatria. “Aspettavo la sera per stare bene” racconta mentre descrive la depressione che l’aveva travolta. “Era come stare sui gomiti, trascinandomi per terra tutto il giorno. Poi finalmente la sera potevo mettermi a letto, dove sapevo che non mi sarebbe successo nulla, perché prendevo delle pastiglie per dormire che mi spegnevano completamente e quindi la notte passava serenamente”. A pesarle di più, in quel periodo, era soprattutto la necessità di fingere: “Non volevo far vedere che stavo male, quindi fingevo di star bene, e quello è stato uno sforzo molto forte”.
Proprio l’esigenza di non dover più fingere, di parlare e di condividere la sua condizione, spinge Ilaria a dar vita al progetto “Non siamo soli”, che nasce allo scopo di dimostrare che le persone con una malattia mentale non sono diverse da quelle sane: “C’è chi mi ha detto che non vorrebbe mai un malato psichiatrico nella sua vita, perché è come una bomba a orologeria, pronta a scoppiare. È brutto sentirsi dire queste cose, soprattutto quando sai tutta la fatica che fai. Io mi curo, faccio terapia per essere stabile e per potermi garantire una vita normale”.
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Concetta (lunedì, 11 ottobre 2021 11:14)
Ho avuto una cara amica bipolare. Una donna straordinaria e creativa quando volava alto. Sapevamo incoraggiarla quando calava giù perché le volevamo bene. Ciao Grande Adalgisa.