Questa mattina sono passati a trovarmi trenta giovani in partenza per il «Cammino degli abati». Partono da Pinerolo e arrivano alla Sacra di San Michele, passando per il Crò, santuario del Selvaggio. Circa cinquanta chilometri, attraverso le nostre montagne. Sono venuti in vescovado per una riflessione e una benedizione. Ora stanno camminando. Il tempo è incerto, minaccia pioggia. Li penso. Verrebbe da dire: «Sono pazzi! Alla Sacra si può arrivare comodamente in auto in meno di un’ora».
26/08/2024 - 10:32
Perché tutte quelle ore di marcia? Perché camminare verso un posto raggiungibile in auto? Mentre li immagino in cammino e vedo scendere le prime gocce di pioggia provo a rispondere. Camminare a lungo per raggiungere una meta significa allenarsi a desiderare. Per tre giorni continueranno a desiderare la Sacra. Per riscoprire che la vita è una lunga attesa, un’infinita serie di attese. Vivere significa mantenere accesa l’attesa. Mantenere accesi i desideri più profondi: desiderio di felicità, di giustizia, di un mondo migliore, di un amore. Queste «mete» non si raggiungono in un giorno, neppure in un mese. Eppure vale la pena mantenerne acceso il desiderio per tutta la vita. Vale la pena lottare contro la tentazione di stancarci e dire: «Prendiamola più bassa, abbassiamo l’orizzonte, non val la pena faticare tanto!». La tentazione quotidiana dell’ordinaria sopravvivenza. Tentazione che banalizza ogni slancio, svilisce ogni entusiasmo, ridicolizza ogni progetto.
I nostri giovani ora sono là, sotto la pioggia, per allenarsi a non diventare «aquile che si credono polli». Siamo aquile, con grandi ali per altissimi voli, eppure spesso ci riduciamo a diventare polli che si accontentano di razzolare in cortile, contenti del mangime garantito ogni giorno. Camminare a lungo significa riscoprire la nostra vera identità: siamo aquile, non polli! Siamo fatti per guardare avanti, per volare verso il futuro. Perché il «vero me sta sempre davanti a me». Il vero me non è ancora nato. Vivere significa partorire «il vero me che non esiste ancora». Anzi, vivere significa partorire un mondo migliore, che non esiste ancora. Vivere significa mantener vivo questo desiderio, anche sotto la pioggia. Proprio come cantava Irene Grandi: «Prima di partire per un lungo viaggio porta con te la voglia di non tornare più».
Camminare significa cercare di arrivare altrove, oltre. Significa allenarsi a guardare avanti, a desiderare oltre. Per vivere così. Accesi. Desiderosi di futuro. Nella certezza che il Signore cammina con noi e lavora per mantenerci accesi. Ricordiamo il brano dei discepoli di Emmaus (Lc 24). Due uomini camminano tristi, stanchi e sfiduciati. La vita li ha bastonati e non riescono più a vederci un futuro. Camminano senza prospettiva, con il cuore a pezzi. Un tale si avvicina e si prende cura di loro. Li ascolta. E soprattutto si sforza per riaccendere i loro cuori. Anzi, a un certo punto spalanca loro una prospettiva insperata: «La vita non finisce con la morte. C’è un oltre!». I due si «riaccendono» e ripartono. Con coraggio si mettono a correre nella notte. Perché con il cuore acceso e una meta anche noi possiamo correre nelle nostre notti. Buona corsa!
Brano tratto dal libro:
DERIO OLIVERO
COMPAGNI DI VIAGGIO lettere nei giorni
Effatà Editrice
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Susanna Brunelli (lunedì, 26 agosto 2024 11:17)
Grazie per questo bel messaggio positivo, pieno di speranza.
Se c'è qualcosa che vale, va alimentato e condiviso.
I giovani sono il nostro futuro ed è bello sapere che non è tutto marcio. C'è del buono e genuino in questi ragazzi.