NON RIAPRITE I MANICOMI. Intervista a Gisella Trincas dell’UNASaM

“Con la legge Basaglia mia sorella è uscita dal manicomio. Non riapriteli”

 

articolo segnalato da Gianni Martelli

   presidente di La Svolta, Associazione per la salute mentale 

Cinisello Balsamo (MI)

sulla chat di WhatsApp “Parole in libertà di Parole Ritrovate”

06/01/2025 – 11:51

 

di Maria Novella De Luca

06 GENNAIO 2025 

 

Gisella Trincas, presidente Unasam: “Chi ha una sofferenza psichiatrica oggi torna ad essere non una persona da curare ma un soggetto pericoloso da isolare. Tutto questo è disumano”

 

Affonda nei tempi cupi dei manicomi lager la storia di Gisella Trincas, 73 anni, due fratelli disabili cui ha dedicato la vita e oggi presidente di Unasam, l’Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale che si battono per la piena applicazione della legge 180. È nella Sardegna di fine anni Sessanta, ben prima che Franco Basaglia rompesse le porte dell’ospedale di Trieste per portare i suoi “matti” oltre i cancelli dell’ospedale psichiatrico, che Maria Antonietta, sorella maggiore di Gisella, inizia a mostrare i segni del suo disagio, quei segni che si riveleranno poi una grave patologia psichiatrica.

Lei era una ragazza, Gisella. Cosa ha voluto dire crescere con accanto una persona con sofferenza mentale?

«Vivevamo a Cagliari, una grande famiglia con dieci figli, Maria Antonietta aveva 20 anni quando cominciò ad avere comportamenti aggressivi, ad autoisolarsi, a essere violenta in particolare verso nostra madre. Come ancora oggi accade, non era chiaro all’inizio quale fosse il suo problema, così giravamo da un medico all’altro, la riempivano di farmaci, una crisi dopo l’altra, una volta morse la mano di un operatore e da lì partì il primo ricovero in manicomio. A Cagliari si chiamava “Villa Clara”, un luogo devastante, di contenzione e di abusi. Anni di elettroshock, di porte chiuse, di sbarre. La sua malattia ci segnò tutti, per sempre. Anche quando andai via di casa, mi ero sposata e vivevo a Quartu Sant’Elena, ero in allerta perenne, pronta a correre da mia madre, insieme a mia sorella, Paola se Maria Antonietta diventava violenta».

Quale fu la diagnosi?

«Schizofrenia. La stessa diagnosi che purtroppo arrivò anni dopo anche per mio fratello Raffaele. Maria Antonietta rimase incinta due volte e le portarono via le bambine. La sua vita era scandita da crisi e ricoveri. Un tormento. La sedavano, la dimettevano, ma senza programmi di riabilitazione o di cura. È per i miei fratelli che ho deciso di occuparmi di salute mentale, per le migliaia di famiglie che hanno vissuto e vivono una condizione come la mia».

Sono passati tanti anni. Com’è cambiata la vita dei suoi fratelli?

«In Sardegna la legge Basaglia è arrivata tardi, gli ultimi manicomi sono stati chiusi tra il 1998 e il 2000. Ma noi intanto studiavamo e a metà degli anni Novanta, insieme ad altri familiari, abbiamo aperto “Casamatta”, una comunità per malati di mente secondo il modello Basaglia, perché i nostri cari potessero vivere in autonomia e con dignità, non isolati, ma dentro la società, naturalmente seguiti dagli operatori. Fu una grande e vittoriosa sfida: non più sbarre, camicie di forza, elettrochoc. Ogni ospite aveva la propria stanza e soprattutto le chiavi di casa. Sembrerà incredibile, ma Maria Antonietta da allora non ha più avuto episodi di violenza, ha recuperato il rapporto con le sue figlie e nessuno è mai scappato da “Casamatta” che oggi continua ad accogliere persone con sofferenza mentale».

E suo fratello Raffaele?

«Oggi vive in un appartamento con un altro utente dei servizi psichiatrici e un operatore che li segue. In piena autonomia. La mia famiglia è un esempio di applicazione della legge Basaglia. Certo che sono necessari i Tso, le terapie farmacologiche, anche i ricoveri se serve. Ma senza un progetto di reinserimento della persona, considerato persona prima che malato, tutto questo serve a poco. Per questo sono indignata per la legge di riforma firmata da Fratelli d’Italia in discussione al Senato».

Insieme a molte altre associazioni e società di psichiatria avete firmato un appello contro il disegno di legge. Perché?

«Perché utilizzando un linguaggio ingannevole ci riporta nella filosofia di una psichiatria manicomiale. Si punta a ospedalizzare e a separare i pazienti dalla società e dalla famiglia, non a curarli nel loro contesto. Si tornano a evocare misure di sicurezza speciali coinvolgendo il ministero della Giustizia invece di aumentare i servizi territoriali. Aumentano i posti letto nei servizi di diagnosi e cura, luoghi chiusi e separati, invece di sostenere i centri di salute mentale. Nelle carceri si punta a sezioni speciali per i detenuti con problemi mentali, di fatto carceri nelle carceri dove la regola è la contenzione più che la cura. Chi ha una sofferenza psichiatrica oggi torna ad essere non una persona da curare ma un soggetto pericoloso da isolare. Ma tutto questo è disumano».

 

Tratto da:

https://www.repubblica.it/cronaca/2025/01/06/news/gisella_trincas_riapertura_manicomi-423921955/

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