Ci sentivamo osservati, come animali da laboratorio, e come tali interessanti ai loro occhi. Ma la nostra umanità non li toccava…Scrutavano dentro di noi; ci dissezionavano.
I sentimenti, gli stati d’animo prendevano un altro nome. Diventavano sintomi. E ci ingabbiavano.
Se piangi, sei depressa; se parli, sei euforica; se non parli, sei apatica…ma come cavolo devi essere per uscire da qui dentro? Andare via era l’unico scopo. Poi avremmo scoperto che il male ci seguiva. Il tarlo che avevamo dentro non ci avrebbe più lasciato. Avremmo invocato le odiate pastiglie, per stoppare il cervello che non si ferma mai, e non ti lascia dormire, fino a farti impazzire…per smettere di pensare, di guardare tanto in fondo da vedere anche quello che non c’è. Oppure si spegne. Ti senti nessuno. L’essere più spregevole della terra…e ti vorresti rintanare, nascondere agli occhi degli altri, ai loro sguardi indagatori…
Solo le pastiglie, dopo un po’ di tempo, ti tirano fuori.
È vero, siamo diversi.
Facciamo paura.
Ne ho tanta anch’io.
Di me stessa.
Da “Il castello dei poveri”,
opera teatrale della Compagnia di Teatro Sociale GLI INTRONAUTI
Tratto da: Paolo Balmas (a cura di), INTRONAUTI, voci da un teatro fuori di scena, Tipolito Europa, Cuneo, 2020, pagg. 70-71
Si può richiedere il libro INTRONAUTI all'indirizzo ipaziaintro@gmail.com, indicando il numero di copie desiderate e l'indirizzo di spedizione, se fuori Cuneo.
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