Capita spesso di vedere il Papa su una carrozzella o con il bastone. Lui non si vergogna di apparire fragile come una persona anziana. È un simbolo, un messaggio potente, ricco d’umanità, che fa apparire lontani nel tempo quegli anni in cui il Papa appariva sulla sedia gestatoria, portato a spalle da quattro persone. Senza andare tanto in là nel tempo a Papa Giovanni Paolo II fu sconsigliato, dagli ambienti vaticani, di farsi vedere sulla sedia a rotelle.
Tanti non accettano le rughe, i capelli bianchi, le calvizie, illudendosi di fermare il tempo. Forse vuol dire che non si riesce ad accettare la propria fragilità. Ma non accettarla non vuol dire cancellarla, mentre invece l’accettazione aiuta a conviverci. Non voglio criminalizzare la cura del proprio aspetto fisico ma invitare all’autoanalisi, per capire se questa cura è fisiologica o non racchiude delle ferite che si vogliono nascondere.
Mi vengono in mente due aneddoti.
Vi ricordate le prime esibizioni canore in televisione di Pierangelo Bertoli? Non lo inquadravano per intero ma solo il busto, per nascondere che lui era costretto a muoversi sulla sedia a rotelle. Che umiliazione sarà stata per lui! Si sarà sentito veramente handicappato (parola orribile, un marchio), rifiutato come persona nella sua interezza, accettato solo dalla vita in su.
L’altro aneddoto è molto più recente e si riferisce alle ginnaste, violentate nel loro fisico, sino a farle raggiungere l’inferno dell’anoressia. La motivazione addotta era di farle raggiungere delle prestazioni sportive di alto livello, per le varie competizioni. Si enfatizzava la disciplina come mezzo che ogni sportivo usa per raggiungere risultati sempre migliori. Non solo nello sport ma nella vita di tutti i giorni occorre avere disciplina, metodo, costanza, che possono essere più o meno intensi, duri, a seconda dei traguardi che ci si prefigge. Ma nel caso delle ginnaste quella non era disciplina ma terrorismo, finalizzato alla colpevolizzazione se il loro corpo non rispondeva a canoni iperbolici, deliranti. In altre parole non veniva accettata la minima distorsione da certi parametri, che tra l’altro non mi sembrano neanche funzionali all’obiettivo sportivo.
Arrivo al punto. Mi scuso se potrò urtare qualcuno ma voglio esprimere il mio pensiero.
Le varie manifestazioni per la pace hanno avuto ed hanno ancora senso: ma per chi?
Certo le grandi manifestazioni hanno la funzione di sensibilizzare i decisori politici. Ma ad una condizione: che coinvolgano grandi masse e siano protratte nel tempo, in un lungo braccio di ferro. È l’esempio delle proteste in Iran. Proteste messe in atto per richiedere il rispetto di diritti (ma anche di interessi) di chi manifesta. Per noi occidentali manifestare per la pace è diventato urgente quando la guerra ha lambito i nostri confini. Prima era praticato da pochi, gli inguaribili idealisti gandhiani. Come da pochi erano frequentate le marce silenziose, senza bandiere e con pochi slogan, che si sono iniziate a fare quando la guerra in Ucraina ha svelato tutte le sue atrocità. Ma quanto hanno inciso?
Per questo penso che l’obiettivo vada spostato da una rappresentazione rituale di un dissenso che serve più a noi, per sentirci in pace con la coscienza, ad una pratica nei comportamenti quotidiani, nell’uso delle parole, nel rispetto di chi è in difficoltà, è meno fortunato. O, se non spostato, aggiunto.
Ricordiamoci che dovremmo sfilare tutti i giorni, perché tutti i giorni c’è una guerra. Solo che alcune guerre sono lontane da noi e non appaiono alla televisione. Se io fossi un etiope (o uno yemenita) chiederei: perché non sfilate per chiedere la cessazione della guerra che insanguina la mia terra? Certo, mi si potrebbe rispondere: si manifesta per la guerra in Ucraina perché è sotto i riflettori mediatici, ma si prende spunto da questa attenzione (che deriva spesso più dalla paura egoistica di rimanere al freddo senza il gas russo) per portare avanti non solo il discorso della pace ma anche quello, se non del disarmo, almeno della riduzione degli armamenti, che stanno raggiungendo livelli folli.
Per questo penso che sia giusto quanto il Coordinamento per la Pace ed il Disarmo di Cuneo ha proposto ultimamente. Non solo promuovere manifestazioni per la Pace ma promuovere anche riflessioni su come la Pace la si può costruire dentro di noi e nei rapporti con gli altri.
Quest’ultimo aspetto mi attrae, perché è fatto di gesti quotidiani, di dialoghi con sé stessi per mettersi in discussione ed improntare la propria vita all’armonia ed al rispetto reciproco.
Forse se non costruisci la pace dentro di te non puoi costruirla al di fuori di te.
Gianfranco Conforti
Volontario di MenteInPace
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Susanna Brunelli (lunedì, 12 dicembre 2022 09:21)
Concordo, la gente siamo noi , la pace siamo noi, le nostre scelte ricadono sugli altri, no alle armi si alla comunicazione efficace , ma chi ci insegna a vivere in pace ? Domanda aperta