PSICOPATOLOGIA DEL SISTEMA NEOLIBERISTA (Ugo Zamburru)

Questo articolo è stato segnalato da Ugo Sturlese di Cuneo, consigliere comunale della Costituente per i Beni Comuni, medico e già Responsabile del Dipartimento di Emergenza e Accettazione dell’Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle di Cuneo.

 

DA sturlese_u@alice.it  2/12/2022 17:15

 

01-12-2022  - di: Ugo Zamburru

psichiatra, Torino

 

Ho scritto, recentemente, alcune riflessioni sulla connessione ineliminabile tra la psichiatria e il sistema in cui la sua attività si colloca (https://volerelaluna.it/societa/2022/11/21/la-psichiatria-non-e-unisola). Voglio qui approfondire il ragionamento collegandolo con il dibattito in corso nel Paese.

 

La Società italiana di psichiatria ha dichiarato che la pandemia lascerà un’eredità di 300.000 nuovi casi, a cui le attuali risorse dei Dipartimenti di salute mentale non sono in grado di dare una risposta terapeutica adeguata. I neuropsichiatri infantili e i pediatri parlano dell’aumento esponenziale dei casi di disturbi del comportamento alimentare e di autolesionismo e lamentano l’inadeguatezza del sistema sanitario. Intanto si riaccende il dibattito tra il modello medicocentrico, su base biologica, e quello psicodinamico e sociale. Ancora una volta non ne usciamo se non caliamo l’analisi all’interno del momento politico, storico, economico e culturale.

Nel 1995 il Dipartimento di Social Medicin di Harvard pubblicò un libro (World Mental Health: problems and priorities in low-income Countries) in cui per la prima volta si definivano le malattie mentali non come semplici problemi biologici di competenza medica indipendenti dal contesto, ma come sovradeterminate da variabili sociali, economiche, politiche e culturali. Nel momento in cui le diseguaglianze sociali, la povertà, un’iniqua redistribuzione del reddito, la classe sociale, il genere, le guerre, le catastrofi climatiche sono riconosciuti come determinanti sociali e fattori di rischio importanti per la salute mentale, ci troviamo di fronte a un bivio. Possiamo considerare le malattie mentali come fini a se stesse, l’espressione di una sofferenza di natura biologica, modello riduzionista che lavora solo sul sintomo e non sulle cause, o possiamo mettere in discussione il sistema stesso. Allo stesso modo possiamo leggere sotto un altro punto di vista i 300.000 nuovi pazienti di cui parla la Società di psichiatria: dal momento che la pandemia ha non solo mostrato le diseguaglianze del sistema, ma le ha addirittura amplificate, se le 300.000 persone in questione avessero tutte accesso a un salario degno, un lavoro sicuro, una casa con spazi abitabili congrui al numero di componenti la famiglia, nonché relazioni affettive stabili e sicure, quanto davvero necessiterebbero di intervento specialistico psicologico e o psichiatrico?

Tutto ciò suggerisce una integrazione comparata di ciò che avviene nel macro (la società) e nel micro (la salute mentale): a) il mercato inteso come modello neoliberista non è in grado di proteggere le persone. Se la salute diventa una merce e non un bene comune il mercato non ha interesse a fare prevenzione, cioè a investire oggi per stare bene domani, ma con una visione riduzionista della scienza cataloga e cura con i farmaci; b) lo psicofarmaco non è la Cura con la maiuscola è un presidio utile in tempi e dosi limitate, ma la vera cura è ridurre i determinanti sociali (povertà, diseguaglianze, solitudine, precarietà, discriminazioni). In questo modo anche chi convive con un problema di salute mentale può avere maggiori presidi di cura e opportunità: lavoro, casa, relazioni. Occorre costruire la società della cura, in cui sono presenti la cura di sé, dell’altro, della natura, del pianeta. Mai come in questa epoca di crisi è stata usata la parola resilienza ed è giusto resistere all’impatto come ci chiedono, ma è altrettanto importante indagare le cause dell’impatto (guerra, pandemia, crisi economica, crisi climatica).

Proviamo a questo punto a dare una lettura psichiatrica, quindi clinica, del funzionamento del sistema neoliberista, quello finanziario senza regole e nel nome del libero mercato. Questo modello economico è paragonabile a una malattia immune, patologia caratterizzata da una reazione scorretta del sistema immunitario, che attacca e distrugge i tessuti sani del nostro organismo riconoscendoli come estranei per errore. Se pertanto il modello produce diseguaglianze, povertà eccetera – tutti fattori di rischio per la salute mentale delle persone – ecco che la parte sana viene intaccata, determinando rottura delle reti sociali, clima di competizione e situazioni che aumentano il rischio di ammalarsi. Con una sola differenza: qui non c’è, come in natura, l’errore, ma la situazione è causata volontariamente, per il bene di pochissimi a scapito della maggioranza! Consideriamo adesso la definizione di disturbo antisociale di personalità secondo i canoni clinici psichiatrici. Le persone con disturbo antisociale di personalità commettono atti illeciti, fraudolenti, tendenti allo sfruttamento e sconsiderati per profitto personale o per piacere e senza rimorsi; esse possono effettuare le seguenti azioni: giustificare o razionalizzare il loro comportamento (p. es., pensando che i perdenti meritino la sconfitta, cercando di essere i numero uno); colpevolizzare la vittima per essere sciocca o incapace; essere indifferenti allo sfruttamento e alle loro azioni nocive sugli altri.

La connessione che propongo non è arbitraria. A corroborarla trovo, tra gli altri, due autorevolissimi studiosi – Roberto De Vogli e Roberto Gnesotto – i quali affermano che la crisi finanziaria del 2008 ha aumentato il tasso di suicidi, i disturbi d’ansia e i disturbi depressivi, citando una serie di articoli e soprattutto il rapporto della National Commission on the Causes of the Financial and Economic Crisis in the US secondo cui «la crisi finanziaria era evitabile, […] è stata un risultato dell’azione umana […] e di un fallimento sistematico dell’etica e del senso di responsabilità». E Robert Hare, una delle massime autorità mondiali in tema di psicopatia, afferma: «Se non avessi studiato gli psicopatici in prigione, l’avrei fatto in borsa». Come nel disturbo antisociale le multinazionali hanno ingannato le persone con i mutui sub-prime, offerti a clienti non in grado di restituire il prestito, spesso con tassi di interesse inizialmente bassi che poi si impennavano dopo pochi mesi e vedevano il cittadino insolvente vedersi portare via la casa. Il Time Magazine ha citato Angelo Mozilo, fondatore della Countrywide Financial come una delle 25 persone da imputare per la crisi del 2008. La banca d’investimento Goldman Sachs ha patteggiato oltre 5 miliardi di dollari con il Dipartimento di Giustizia Americano per aver venduto grandi quantità di titoli tossici, basati su questi mutui bugiardi, al fine di trasferire l’eventuale inadempienza dei mutui su investitori di titoli azionari delle società compratrici, ad esempio fondi pensione. E cosa pensare di Montag, anche lui della Goldman Sachs, che dopo aver venduto 100 milioni di un pacchetto finanziario tossico chiamato “Timberwolf”, in uno scambio di email con un collega, scrisse: «Ragazzo mio […] quel Timberwolf era un affare di merda». Il banchiere più citato come simbolo della decadenza morale di Wall Street è senza dubbio Dick Fuld, ex amministratore delegato della Lehman Brothers, chiamato dai colleghi il “Gorilla di Wall Street”, che ha guadagnato circa 500 milioni di dollari dal 1993 al 2007, anno del fallimento di Lehman Brothers e inizio della crisi economica mondiale. Fuld in una riunione aziendale dichiarò: «Ogni giorno è una battaglia […] e devi uccidere il nemico. […] Io sono (un tipo) morbido, sono amabile, ma quello che voglio fare davvero (riferendosi agli short-seller che secondo il suo parere stavano provocando la bancarotta di Leham Brorthers) è prenderli, strappargli il cuore e mangiarglielo prima che muoiano». E che dire del narcisismo di Loyd Blankfein, il numero uno della Goldman Sachs. che, incalzato da una giornalista sull’eventualità di imporre dei limiti ai compensi dei suoi top manager, rispose che sarebbe sbagliato «mettere un limite alla loro ambizione […] perché […] i banchieri adempiono a un ruolo fondamentale nella società: fanno il lavoro di Dio». Questo “fallimento sistematico dell’etica e del senso di responsabilità” non può essere considerato tout court la causa della crisi, ma fa parte importante dei determinanti della crisi stessa.

Spostandoci dal tema finanziario a quello dell’industria agroalimentare, che dire di un sistema che fa cadere i contadini in una vera e propria trappola per cui si indebitano, giungono a una disperazione che porta spesso al suicidio e in cambio offrono un modello di nutrizione che causa patologie metaboliche, cardiache, allergiche, tumorali? Vandana Shiva pone l’accento sul fatto che l’India, la nazione con il suolo talmente fertile e il clima talmente favorevole da permettere fino a quattro raccolti l’anno (a fronte di uno, massimo due raccolti dell’occidente industrializzato), è in emergenza alimentare. Il National Family Health Survey racconta come il 42,5% dei bambini indiani con meno di cinque anni è sottopeso, a fronte del 21% degli omologhi bimbi africani. Oltre 300.000 agricoltori sono giunti al suicidio dal 1995 per le leggi del WTO che hanno trasferito il controllo dei semi e del cibo in mano di poche multinazionali (Bayer, Syngenta) che possono vendere a basso prezzo, non competitivo per i piccoli agricoltori che in questo modo finiscono sul lastrico. Le stesse cose avvenute in Messico nel 1994, quando il NAFTA, trattato di libero commercio tra Usa, Canada e Messico, decretava la fine della milpa, il piccolo campo di mais che non poteva reggere al confronto con un prodotto Usa su larga scala, di qualità inferiore e con sussidi statali che ne diminuivano il prezzo. Ma con la milpa spariva la tradizione e spariva la cosmogonia di quei popoli, che seppero sollevarsi con l’insurrezione zapatista e proporre un modello diverso, in armonia con i diritti della natura e la storia degli uomini e delle donne. Inoltre il cibo prodotto dalle corporazioni è avvelenato dai pesticidi e altre sostanze tossiche, tanto che, per rimanere in India, le diagnosi di diabete dal 2004 al 2012 sono passate da 820.000 a 18 milioni; i morti da 260.000 a 7 milioni. Senza contare il consumo di energia, acqua, combustibile fossile… In queste condizioni, i suicidi in India dal 2013 tra i contadini hanno una media di 12.000 l’anno (dati del National Crime Record Bureau del ministero degli interni indiano). Sono in genere uomini tra i 30 e i 60 anni, che nel 40% lo fanno per bancarotta e indebitamento. Sono tutti piccolissimo produttori. Non si è mai saputo di una parola da parte della Bayer o Syngenta o analoghi, se non per dire che loro portano il benessere e la modernità! Ci risuona il concetto di esportare la democrazia?

Purtroppo, fino ad ora, le risposte politiche finalizzate a limitare le psicopatologie causate dalla crisi e le analisi per comprendere come le psicopatologie abbiano contribuito alla crisi, sono state deboli se non assenti. Eppure è evidente quanto il comportamento dei governi incide sulla salute mentale: se i governi s’impegnano a investire in solidi sistemi di protezione sociale e a redistribuire il reddito più equamente, oltre a salvare vite umane, aiutano l’economia a ripartire attraverso lo stimolo della domanda interna e dei consumi, specie delle classi meno abbienti. Perfino il Fondo Monetario Internazionale (FMI), da decenni sostenitore delle politiche di austerità, ha di recente identificato le disuguaglianze come un fattore di rischio per le crisi economiche. In un rapporto del 2010, scrive che «il ripristino del potere contrattuale delle famiglie povere e di reddito medio può essere molto efficace […] (al fine di) ridurre la probabilità di un ulteriore crisi». L’Islanda, ad esempio, ha risposto alla crisi senza adottare i tagli alla spesa sociale imposti nell’Eurozona, limitandone l’impatto sulla salute e il benessere della popolazione ed è stata l’unica nazione a contrastare in modo serio gli eccessi e i comportamenti psicopatologici dei banchieri che hanno contribuito allo scoppio della crisi con la vendita di titoli tossici. Quando fu chiesto all’ex presidente islandese, Olafur Ragnar Grimmson, come riuscì il suo paese a uscire dal disastro finanziario, egli rispose: «Siamo stati abbastanza saggi da non seguire le tradizionali ortodossie (neoliberiste) del mondo finanziario occidentale degli ultimi 30 anni. Abbiamo invece introdotto controlli sulla valuta, lasciato fallire le banche, fornito sostegno ai poveri e non abbiamo introdotto misure di austerità come state vedendo in Europa».

Il disegno e lo sviluppo di un nuovo sistema politico economico oltre il neoliberismo, in grado di promuovere valori di empatia e senso di responsabilità, sono all’evidenza alla base della prevenzione e della mitigazione degli effetti della crisi sul benessere. Tuttavia, analizzare come individui affetti dal disturbo psicopatico della personalità contribuiscano a influenzare tali sistemi è la chiave per comprendere meglio le radici complesse delle crisi e agire a fini precauzionali.

 

Concludo. Non può esistere salute mentale senza una salute pubblica, comunitaria e universale. Salute pubblica perché il modello sanitario privato che delega i servizi di cura al terzo settore non funziona. La salute così diventa un prodotto da vendere sul mercato la cui priorità è il profitto, una merce e non un bene comune. Interessante il caso della sanità lombarda, definita un modello all’avanguardia. In Lombardia tutto il peso della pandemia è gravato sulle spalle del servizio pubblico. Non c’è salute senza diritti sindacali, senza ambienti sicuri dove lavorare, sia nelle fabbriche e nelle aziende, sia negli spazi domestici, nelle cooperative e nelle associazioni. Non c’è salute senza il diritto allo studio e senza scuola e università pubbliche, laiche e accessibili. I luoghi dell’apprendimento devono essere liberati dalla logica neoliberista della performance che, fin dai primissimi anni, prepara e inquadra studenti e studentesse a un futuro di sfruttamento e competitività nei luoghi di lavoro. Non c’è salute senza maggiori risorse all’istruzione, alla stabilizzazione e alla formazione del personale docente. Non c’è salute senza educazione alla sessualità, all’affettività e al contrasto della violenza di e del genere. Non c’è salute senza il diritto alla casa e senza giustizia ambientale, senza spazi pubblici ricreativi e senza accesso a beni comuni come una dieta completa, l’acqua potabile e l’aria pulita. Non c’è salute senza socialità. Non c’è salute senza l’abbattimento delle barriere fisiche, percettive e sociali che discriminano di fatto le persone con disabilità. Non c’è salute senza combattere la violenza, la corruzione e l’impunità. Non c’è salute senza combattere l’estrattivismo, le grandi dighe, l’attività predatorie delle multinazionali che inquinano, minacciano, derubano i paesi del sud del mondo delle loro ricchezze e creano sfollati e migranti. La salute che vogliamo costruire si basa su percorsi di solidarietà, autogestione e mutualismo dal basso capaci di ripensare, allargare e potenziare il concetto di comunità.

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