Stefania è una volontaria AVO di Torino e segue la newsletter di MenteInPace da anni. Questa è una piccola grande storia di concreta solidarietà e di rinascita, dove chi assiste e chi è assistito creano un legame che aiuta entrambi.
Eva indugia alcuni minuti prima di fare la sua scelta. E’ difficile esprimere una preferenza e rinunciare così alle altre possibilità. Poi decide d’impulso: «Per me una coppetta stracciatella e vaniglia!», gorgheggia con la sua voce squillante che fa girare i clienti della cremeria. Oggi Eva è su di giri: dopo una settimana senza mettere il naso fuori, ecco finalmente un pomeriggio diverso, con una delle amiche volontarie che si sono prese a cuore il suo caso e hanno deciso di seguirla anche una volta dimessa dall’ospedale e trasferita nel centro di riabilitazione traumatologico. Questa settimana è la volta di Sara, che adesso sistema la carrozzina vicino al tavolo e aiuta Eva ad aggiustare il tovagliolo di carta sull’elegante camicetta. «Non voglio sporcarmi, questa me l’hanno regalata per Pasqua, è la prima volta che la indosso». Eva fatica a impugnare il cucchiaino, ma la possibilità di mangiare di nuovo cibi solidi e buoni, dopo i mesi di alimentazione artificiale, l’ha resa particolarmente vorace, e così finisce il suo gelato prima che Sara abbia bevuto il caffè. Al momento di uscire dal locale, la volontaria l’aiuta ad abbottonare il giubbotto, il vento primaverile è fresco. «Lo sai, questa settimana sono riuscita ad alzarmi e fare addirittura cinque passi, finora ne avevo fatti solo tre alla volta» cinguetta Eva entusiasta. «Bravissima, sei davvero in gamba, hai molta forza di volontà» commenta Sara, e non può fare a meno di meravigliarsi tra sé dell’allegria e dell’ottimismo inossidabile della giovane, malgrado il brutto incidente che quattro anni fa le ha portato via i genitori e la salute.
Eva era stata in coma alcuni mesi, durante i quali i volontari dell’ospedale andavano a trovarla regolarmente. Non c’era niente “da fare”, la ragazza dormiva un sonno profondo da cui forse non si sarebbe risvegliata, almeno così pensavano i medici. Le volontarie s’ingegnavano come potevano: una le parlava accarezzandole le mani, un’altra sperava di stimolarla con la musica di una radiolina, a una era venuto in mente di portare dei botticini di profumo per farglieli odorare. Non sapevano se Eva sentiva qualcosa, era come morta… ma non si arrendevano. Un giorno trovarono la sua stanza vuota. Dopo il primo smarrimento, scoprirono con emozione che si era svegliata dal coma ed era stata trasferita in una struttura specializzata. Come segugi, e al di fuori del loro servizio “regolare”, le volontarie decisero di seguirla dall’ospedale al centro di riabilitazione e da lì nella residenza sanitaria di rieducazione funzionale. La famiglia di Eva si era trasferita da Teramo solo pochi mesi prima dell’incidente e a Torino la giovane, rimasta sola, non aveva amici o parenti. Come aveva raccontato lei stessa alle volontarie, faceva l’insegnante e dopo anni di sacrifici stava preparando il concorso per passare di ruolo. Un cammino spezzato. I danni neurologici che avevano compromesso la memoria e gli arti di Eva non le permettevano, almeno per il momento, una vita autonoma al di fuori della residenza sanitaria. «Il fisioterapista ha detto che, se continuo così, tra qualche mese con questa mano potrò di nuovo scrivere» fa sapere Eva, strappando Sara alle sue elucubrazioni. «E’ una bella notizia, quando riprenderai a scrivere ti porterò delle penne e un’agenda dove potrai tenere il diario delle tue giornate». «Buona idea, ma non penso di scrivere tutti i giorni, soltanto quando farò qualcosa di speciale, come oggi che siamo uscite insieme a prendere il gelato». Sara si cruccia di abitare così lontano, le piacerebbe venire a trovare Eva più spesso. Eppure la ragazza è sempre pronta ad accoglierla con quel sorriso aperto che scioglie ogni imbarazzo. Come in quel pomeriggio di agosto: appena uscite in cortile, avevano dovuto rientrare subito per un improvviso acquazzone. Sara era dispiaciuta ma Eva, cancellato dal viso il disappunto, aveva esclamato: «Che fortuna essere riuscite a stare fuori cinque minuti, almeno abbiamo preso un po’ d’aria, c’è andata bene!». “Cara Eva, che lezione!” pensa Sara con il nodo alla gola, “da quando ti ho conosciuta, immobile in quel letto d’ospedale, hai fatto enormi passi avanti… E grazie a te, ne sto facendo anch’io”.
Stefania Garini
Torino
Tratto da:
Scrivi commento