LO STIGMA DEI DISTURBI MENTALI. Analisi del libro di Antonio Lasalvia (Paolo F. Peloso)

libro segnalato da Sabrina Marangon

Psichiatra di Thiene (VI)

Le Parole Ritrovate

 

Antonio Lasalvia
Lo stigma dei disturbi mentali.

Guida agli interventi fondati sulle evidenze

Giovanni Fioriti Editore

Lo scopo di questo volume è di rappresentare la lotta allo stigma per quello che in realtà è, e che dovrebbe essere, così come d’altro canto la letteratura scientifica indica da oltre un ventennio: un ambito tematico, cioè, in cui le evidenze possono e debbono orientare l’azione. Con l’obiettivo di sottrarre questa fondamentale area all’incerto e pericoloso ambito ideologico per trasferirlo, a superiore beneficio dei pazienti e delle loro famiglie, nel campo della scienza.

 

Antonio Lasalvia, Professore Associato di Psichiatria presso il Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento dell’Università di Verona.  Responsabile medico del Centro di Salute Mentale di Verona Sud, Unità Operativa Complessa di Psichiatria, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata (AOUI) Verona.

 

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Mi sono avvicinato al libro di Antonio Lasalvia, che appartiene a quello che considero uno dei più interessanti gruppi universitari italiani, quello di Verona diretto un tempo da Michele Tansella e oggi da Mirella Ruggeri, oltre a essere per me un amico – Lo stigma dei disturbi mentali. Guida agli interventi fondati sulle evidenze (Fioriti, 2022) da un lato con molta curiosità, per la stima che ho per Antonio, ma dall’altro anche scontando io stesso un qualche “stigma”  che devo confessare nei riguardi della “lotta allo stigma”.
Personalmente, tendo infatti a diffidare un po’ - pur essendomi cimentato anch’io una quindicina di anni fa in iniziative un po’ artigianali e su piccola scala in questo campo che mi hanno, per ciò che vale, insegnato qualcosa e la lettura mi ha fatto ritornare in mente  delle iniziative di lotta allo stigma, in particolare di quelle condotte su larga scala e attraverso i grandi media. Mi pare, se posso esprimermi con sincerità, che assomiglino a volte un po’ troppo alla pubblicità dei prodotti, e come in genere la pubblicità dei prodotti o le campagne elettorali scontino il rischio di essere percepite da chi ne è bersaglio (o almeno da me) come probabili fregature. E, d’altra parte, mi pare che la lotta contro lo stigma sia difficilmente affrontabile in se stessa, e non come parte della lotta (politica) all’esclusione, che abbia per obiettivo generale quello di una società più equa e più giusta con tutti.

 

Lottare contro lo stigma delle malattie mentali non significa dunque sostenere che sono malattie “come le altre” (lo sono perché possono generare sofferenza e, almeno temporaneamente, disabilità, ma non lo sono per molti altri aspetti); o che non sono “malattie”, nel senso suddetto, ma semplici variabili dell’umana esperienza; o che il disagio e la paura che a volte si possono provare di fronte a chi in un dato momento le manifesta non abbiano un fondamento, che merita di essere a sua volta tenuto in conto e compreso. Credo piuttosto, e mi sono sentito in questo in buona parte confortato dalla lettura del libro, che significhi cercare di evitare le generalizzazioni e i pregiudizi: cioè, senza negare che alcuni problemi possano verificarsi con più frequenza in presenza di una malattia mentale rispetto ad altre situazioni,  non fare di tutte le malattie mentali uno stesso calderone e non considerare tutti coloro che ne soffrono come un’unica “categoria” o un unico gruppo umano; né considerare tutti coloro che soffrono di una data malattia uguali tra loro; né dare per scontati sintomi, decorso ed esiti di una malattia, che possono essere molto diversi; né appiattire chi soffre di una malattia mentale su questa sola dimensione della sua esistenza, perché ne ha sempre molte altre (il libro parla correttamente di “persone con….” evitando termini che possano evocare l’idea di una totale egemonia della malattia sulle altre dimensioni della persona); e soprattutto dare, in generale e anche caso per caso, ai problemi che possono accompagnare una malattia mentale la giusta dimensione, in termini di frequenza, durata, consistenza ecc.


Superato questo iniziale “stigma”, dunque, mi sono impegnato nella lettura di un testo che mi ha decisamente soddisfatto per onestà intellettuale, per completezza e rigore metodologico, per la ricca bibliografia cui fa riferimento, oltre che per una buona leggibilità anche, che non è certo scontata in un testo scientifico.

Il libro ricostruisce la storia del termine “stigma” dalle origini nel mondo classico alla riproposizione, nell’attuale significato, da parte di Erwin Goffman nel 1963,  alle applicazioni cui è andato incontro nel campo delle malattie mentali (Lasalvia preferisce il termine un po’ anglosassone di “disturbi”, ma io preferisco parlare più francamente di malattie non perché di “malattie” in senso proprio si tratti, ma perché questa mi pare, tra tutte le possibili metafore con le quali è possibile avvicinarsi a definire queste umane esperienze così difficili da cogliere e definire nella loro singolarità e peculiarità, quella che più ad esse si avvicina) considerate sia nel loro insieme che nel caso delle più importanti e soggette a stigma tra di esse (schizofrenia innanzitutto – con un fuoco particolare sulle situazioni a rischio e sull’esordio - e poi depressione e disturbi d’ansia).

E ripropone una classificazione che distingue due macrocategorie, quella di come lo stigma viene avvertito, dall’interessato e dagli altri; e quella di come esso si traduce in comportamenti, atti,m norme stigmatizzanti. All’interno di esse si collocano i diversi aspetti che lo stigma può assumere.

Ho particolarmente apprezzato, del volume, i capitoli dedicati allo stigma verso le persone con una malattia mentale nell’ambito del mondo sanitario, uno stigma che tende a estendersi spesso tra i colleghi cultori di altre discipline anche al loro atteggiamento verso la psichiatria, i suoi luoghi e i suoi servizi. Non è infrequente imbattersi, nell’ambito del sistema sanitario o del welfare, in luoghi o servizi pensati con la condizione che ”i pazienti psichiatrici”, o con termine ancora più antipatico “gli psichiatrici”, non vi accedano; e ciò a prescindere dalla questione di chi sarebbero poi “gli psichiatrici”, visto che solo tale non lo è mai nessuno, o dal fatto che i sintomi e la condizione clinica di un  soggetto sia o meno effettivamente incompatibile con la fruizione di quel servizio o la permanenza in quel luogo.
E ancora di più ho apprezzato il capitolo sullo stigma di noi operatori della salute mentale verso i pazienti, perché mi pare che esso corrisponda nella sostanza al concetto di “istituzionalizzazione”, al quale ci si riferiva qualche anno fa, che costituisce uno dei temi centrali del libro che ho dedicato recentemente alla possibilità di un Ritorno a Basaglia?.

Il fenomeno è affrontato qui con grande pertinenza sia per ciò che riguarda i diversi aspetti che può assumere, il riferimento agli studi effettuati indagando con diversi strumenti il vissuto che ne hanno i pazienti, e per ciò che riguarda i modi efficaci di contrastarlo.
Tra questi ultimi, vengono giustamente ricordati quegli interventi volti alla restituzione di responsabilità e di potere all’altro attraverso la promozione dell’autoaiuto.

 

di Paolo Francesco Peloso

Psichiatra

Direttore Struttura complessa Unità Operativa Salute Mentale Distretto 9

del Dipartimento di Salute Mentale ASL 3 Genova

 

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Tratto da: http://www.psychiatryonline.it/node/9632

 

 

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