15/1/2024 21:08
Visto che la mascolinità è relativa al gruppo sociale nel quale ci si trova, per capirla e agire su di essa conviene partire da se stessi e dal proprio intorno: amici, famiglia, colleghi. Pensare che uomini di altri gruppi sociali (religiosi, etnici o di classe) siano “più maschilisti” è infatti una forma frequente di gerarchizzazione delle mascolinità, che non fa altro che spostare il problema da sé agli altri. L’idea che alcune società siano “più patriarcali” è molto vecchia e già ampiamente sdoganata: il colonialismo si è storicamente legittimato attraverso l’idea che gli uomini colonizzati brutalizzassero le loro donne (Mohanty 2020); il razzismo si è alimentato dell’idea che i non bianchi fossero sessualmente iperattivi e violenti o ipoattivi ed effeminati (rispetto alla “norma” bianca); il classismo dell’idea che gli uomini delle classi popolari fossero forti ma brutali (quindi incapaci di nobili sentimenti) (Davis 2018). Tutti questi stereotipi nonché le loro rielaborazioni contemporanee nella denigrazione delle mascolonità altrui (quali definire un altro uomo una bestia o un damerino, fare illazioni sulla taglia del sesso o sull’appetito sessuale eccessivo o deficiente, suggerire che si faccia “comandare” dalla moglie o che al contrario sia un tiranno, etc.), sono unicamente modi di gerarchizzare gli uomini tra loro, cioè di posizionare la propria mascolinità come “migliore” di altre. Il punto quindi non è cosa definisce un uomo ma rispetto a chi ci si definisce uomini.
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