29/3/2024 12:00
A menteinpace@libero.it
di Kyra Grieco
(Antropologa, Ricercatrice presso la Scuola di studi avanzati nelle scienze sociali di Parigi)
Abbiamo già visto alcune delle forme di violenza maschile, principalmente quelle fisiche e psicologiche all’interno della coppia e della famiglia, e l’importanza dell’intorno sociale per riconoscerle e combatterle. Abbiamo anche visto però quanto è facile cadere nella giustificazione della violenza, la nostra come quella altrui.
Non siamo infatti educat* a riconoscere i segni del maltrattamento, né a sapere cosa fare quando ci si confronta con chi lo subisce. Questo perché pensiamo che sia qualcosa di molto lontano da noi, che le case nelle quali succede non siano quelle dei nostri amici o parenti. Non a caso si parla di “violenza domestica” (e non di violenze maschili contro le donne o di violenze sessiste): perché queste violenze hanno per principale teatro lo spazio domestico o familiare, ritenuto off-limits perché riguarda l’intimità emotiva, relazionale e sessuale delle persone. Solo che con questa storia del farci gli affari nostri, possiamo vivere benissimo accanto a delle relazioni violente senza accorgercene mai. Questo non vuol dire che ogni volta che un’amica vi racconta una lite con il compagno dovete trascinarla al centro antiviolenza più vicino, ma che probabilmente ci guadagneremmo tutt* a imparare a saper cogliere i segnali che lasciano intuire o che preludono a una situazione di violenza (i cosiddetti “red flags”) e come comportarci con la persona che la subisce.
Nel caso della mia amica Marta, di cui ho raccontato la storia precedentemente, i red flags c’erano tutti, ma io non li avevo saputi vedere. Come riconoscerli, mi chiederete voi?
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